Le trivelle dell'azienda cinese Gmg international usate per l'estrazione mineraria a Varela
Le trivelle dell'azienda cinese Gmg international usate per l'estrazione mineraria a Varela

Guinea-Bissau, sortilegi contro le trivelle

Da anni società russe e cinesi puntano i giacimenti minerari di Varela, sulla costa della Guinea-Bissau. Ma la resistenza della popolazione locale ha bloccato ogni progetto

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoGiornalista

2 settembre 2024

Ci hanno provato i cinesi, poi i russi, e di nuovo ancora i cinesi, tutti sostenuti dalle istituzioni locali. Ma nulla hanno potuto contro la popolazione che si è opposta, e si oppone, allo sfruttamento dei giacimenti minerari presenti sotto le sabbie di Varela, una zona costiera della Guinea-Bissau. Un’estrazione che non solo creerebbe problemi di natura ambientale, dato che la spiaggia si trova in un’area naturalistica, ma rischia di accelerare l’erosione della costa e danneggiare le coltivazioni di riso, la principale fonte di sostentamento degli abitanti dell’area. Mentre la quasi totalità dei benefici provenienti dall’estrattivismo andrebbe altrove, come hanno insegnato anni di colonialismo.

Sono state le donne a guidare le proteste e, in particolare, a praticare i sortilegi che hanno di volta in volta rotto macchinari e terrorizzato operai, costringendo le varie società a mollare la presa. O, almeno, questo è quello che raccontano gli abitanti di Varela: una comunità dalla forte tradizione animista, che nei luoghi oggetto delle mire di russi e cinesi custodisce anche dei siti considerati sacri, quindi intoccabili. Nei mesi scorsi ci sono state nuove manifestazioni, accompagnate da una petizione online, che definisce l’operazione mineraria cinese, "sostenuta da attori senegalesi e dallo Stato della Guinea-Bissau", "una minaccia imminente per la costa di Varela", con "conseguenze disastrose per la popolazione locale e il fragile ecosistema costiero".

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"Al momento, abbiamo fermato tutto", dice Valentina Cirelli, italo-guineense, che ha partecipato alle proteste, ma "rimane l’interesse, anche governativo, a portare avanti l’attività estrattiva", assicura. I macchinari dell’azienda cinese sono ancora sorvegliati giorno e notte dai militari dello Stato guineense, come lo erano nel settembre 2023 (quando lavialibera ha visitato la zona), in attesa di trovare una via d’uscita dall’impasse.

Risorse naturali vs risorse minerarie

Distante dal confine con il Senegal appena 50 chilometri, Varela è una delle spiagge più grandi e belle della Guinea-Bissau, ma anche tra le più difficili da raggiungere. C’è solo una strada sterrata a collegarla a Sao Domingos, uno dei principali villaggi dei dintorni, che si trova a 150 chilometri a nord-ovest da Bissau, la capitale del Paese. Una via in laterite che diventa quasi impraticabile durante la stagione delle piogge. La spiaggia è una lunga distesa di fine sabbia bianca, intervallata da striature grigie,  a tratti nere. "Varela è l’unica spiaggia della Guinea-Bissau occidentale dove le tartarughe marine depongono le uova ogni anno", precisa Issa Indjai, coordinatore locale dell’organizzazione non governativa Mani Tese, aggiungendo che nell’area si trovano anche molte importanti zone "di pesca e di mangrovie". Mentre tra i luoghi di estrazione e il villaggio di Varela sono state individuate 53 specie vegetali, alcune di grande valore.

I macchinari dell’ultima azienda che ha ottenuto la concessione sono sorvegliati giorno e notte dai militari

Sono, invece, le caratteristiche striature grigie della sabbia a rivelare il motivo di tanto interesse da parte di Cina e Russia, e cioè i giacimenti di zircone, ilmenite e rutilo. Minerali che lo stesso governo guineense ha classificato come di "interesse strategico nazionale". "Si tratta delle fonti primarie dei metalli zirconio e titanio", scrive Iussufo Jalo, in una tesi di laurea dell’Universidade Nova di Lisbona, in Portogallo. Metalli molto resistenti che, per le loro proprietà, possono essere sfruttati in settori strategici. Sono usati per costruire le barre in cui viene stoccato il combustibile nucleare, ma anche aerei, veicoli spaziali, missili, navi, sottomarini, impianti di desalinizzazione e protesi. Stando a quanto ricostruito da Iussufo, tra il 2010 e il 2013 sono state rilasciate quattro concessioni in punti collocati tutti lungo la costa, per un totale di oltre 1.375 ettari. A oggi, le perforazioni più importanti sono avvenute nel piccolo villaggio di Nhiquim, ad opera di una società russa, la Poto Sarl, che ha ottenuto dal governo guineense una licenza per la ricerca e lo sfruttamento dei minerali nel 2012. Nel 2013 l’azienda avrebbe estratto 200mila tonnellate di sabbie pesanti creando già allora danni alla popolazione del luogo. "Da quando sono iniziate le esplorazioni, abbiamo avuto problemi con l’approvvigionamento dell’acqua: quella che consumavamo è diventata salata e siamo costretti a fare tre chilometri a piedi per trovare acqua potabile", ha detto Selifo Djata, un abitante del posto, in un’intervista rilasciata all’emittente tv tedesca Deutsche Welle nel 2014.

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Le trivelle scendono, il mare sale

È iniziato con il piede sbagliato anche l’ultimo progetto che nel maggio del 2023 Dionisio Cabi, ministro delle risorse naturali del governo di Umaro Sissaco Embalo, ha affidato a una società a capitale cinese, la Gmg international Sa. L’accordo prevede in cambio un contributo alle casse dello Stato della Guinea-Bissau pari al dieci per cento del capitale sociale dell’impresa fino alla sua cessazione. Ma sia Cirelli sia Indjai confermano che la società cinese ha ottenuto la concessione mineraria prima che fosse realizzato uno studio di impatto ambientale e sociale sull’opera: l’autorizzazione per l’estrazione è stata concessa a maggio 2023, mentre l’analisi di fattibilità è iniziata solo ad aprile 2023, come documenta lo stesso report pubblicato e diffuso ad agosto dello stesso anno.

"Prima di cominciare un’opera del genere, la popolazione del posto andrebbe informata e coinvolta nel processo decisionale. Invece, non c’è stata alcuna trasparenza da parte delle autorità"

Un’altra questione controversa riguarda proprio l’impresa che ha ottenuto l’appalto per realizzare lo studio. Si chiama GestPlan consulting sarl e, stando a un’inchiesta del giornale El Salto, appartiene al cognato del ministro che ha concesso il permesso di sfruttamento alla compagnia mineraria. Contattata telefonicamente da lavialibera, GestPlan non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione, ha intimato di non ricontattarla, e di fare riferimento al ministero dell’Ambiente per avere informazioni più dettagliate sul report. Ancora più grave, secondo la legislazione guineense, è stata la mancata udienza pubblica con le comunità che saranno interessate dall’estrazione mineraria.

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"Prima di cominciare un’opera del genere, la popolazione del posto andrebbe informata e coinvolta nel processo decisionale. Invece, non c’è stata alcuna trasparenza da parte delle autorità", ha lamentato a lavialiberaMatar Djata nel settembre 2023. Djata, allora capo del villaggio di Varela, e quindi l’intermediario tra governo e comunità, ha anche precisato che "tutti gli stranieri che sono venuti qui per sfruttare le nostre risorse hanno promesso strade, scuole, ospedali, però poi nulla è stato portato a termine". Ma a preoccuparlo di più è l’erosione costale: "Le attività estrattive non aiutano a risolvere il problema. Anzi, facilitano l’avanzare dell’oceano. Non ce ne facciamo nulla di strade e ospedali se poi la terra viene invasa dal mare". "Qualsiasi scavo destabilizzerà il terreno, già precario, intensificando l’avanzata del mare e l’erosione costiera", aggiunge Indjai.

“Qualsiasi scavo destabilizzerà il terreno già precario, intensificando l’avanzata del mare e l’erosione costiera”

I segni dell’erosione sono visibili. Poco lontano dal sito di estrazione mineraria lo dimostrano i ruderi di quello che, prima di essere inghiottito dal mare, avrebbe dovuto essere un villaggio turistico italiano. Lo stesso documento redatto dalla GestPlan sembra concludere che per la popolazione gli svantaggi dell’operazione sarebbero più dei vantaggi. A fronte di potenziali posti di lavoro e ricchezza a livello locale, si rischia di modificare il paesaggio e la geomorfologia naturale, contaminare il suolo e il mare, accelerare l’erosione, salinizzare i terreni usati per l’agricoltura e l’allevamento, e peggiorare la qualità dell’aria.

Nuovi attori, vecchi metodi

Le precedenti esperienze portate avanti in altri Stati africani da parte per lo più di compagnie occidentali consolidano i timori. Uno studio comparativo realizzato da Mamadou Saliou Diallo per l’International union for conservation of nature and natural resources su quattro esperienze estrattive in Guinea-Bissau, Senegal, Sierra Leone e Repubblica di Guinea già nel 2010 annotava che "i benefici dell’attività mineraria attesi dagli abitanti non sono stati realizzati, mentre sono evidenti le minacce e le pressioni sulla diversità biologica, che potrebbero compromettere la fine di alcuni servizi ecosistemici essenziali per lo sviluppo economico e la qualità di vita delle popolazioni".

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Oggi gli attori statali sono diversi. In particolare, la Cina detiene al momento circa l’8 per cento del settore minerario africano: meno della metà dei competitor occidentali, ma con una percentuale in crescita del 6,7 per cento rispetto al 2018. Nei metodi, però, nulla cambia.

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