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16 maggio 2025
Il mercato dei semi è concentrato dai colossi della agroindustria, ma esistono alcune piccole forme di resistenza. Sono quegli agricoltori che scelgono di piantare varietà locali e specie autoctone, preservando la diversità che mai troverebbe spazio nei supermercati riforniti dalla grande distribuzione. Così Giannandrea Mencini, giornalista e scrittore, ha raccolto le storie e le testimonianze di aziende che provano a curare i loro campi non con pesticidi ma con metodi biologici e biodinamici, coltivando non solo prodotti ma un sapere da tramandare. Da queste interviste è nato La battaglia dei semi. Come uscire dai monopoli alimentari, pubblicato da Kellermann editore.
In questo libro, si continua metaforicamente il sentiero iniziato con Bioavversità. Il vizio delle monoculture delle terre alte del 2023. “Proprio durante una presentazione di quel libro – spiega Mencini – una signora si è alzata e mi ha detto: ‘Giannandrea, devi occuparti di semi’. L’ho seguita. Con questo libro ho scoperto il senso profondo delle parole di Vandana Shiva: la libertà del seme è liberta di vita”.
Presenteremo il libro "La battaglia dei semi" il 18 maggio al Salone del Libro
Per comprendere a fondo cosa intenda l’attivista e ambientalista indiana con questa frase, Giannandrea Mencini attrezza i lettori e le lettrici per un cammino che porta in varie regioni d’Italia, dal Piemonte alla Calabria, passando per il Lazio e l’Abruzzo, partendo dal suo Veneto. Nell’introduzione, come una guida esperta, propone due sentieri: uno segue il corso delle pagine, passando prima da una cornice più ampia su chi ha il monopolio dei semi nel mondo e poi alle storie, e un altro che passa direttamente alla seconda parte con i racconti delle esperienze di resistenza. “Mentre riportavo gli studi scientifici ho pensato che sarebbe stato bello poter dare ai lettori la possibilità di passare alla parte meno saggistica e più narrativa. Voglio raccontare cosa vedo, la storia delle persone”.
Il potere dei semi: intervista a Salvatore Ceccarelli e Stefania Grando
"Mentre riportavo gli studi scientifici ho pensato che sarebbe stato bello poter dare ai lettori la possibilità di passare alla parte meno saggistica e più narrativa. Voglio raccontare cosa vedo, la storia delle persone"
Se si sceglie il tracciato più lungo, segnalato e sicuro, ci si imbatte in una descrizione del presente che lascia poco all’immaginario: le specie di piante che si possono commerciare nel mondo sono in mano a pochissime corporation che, fondendosi tra loro, hanno imposto agli agricoltori i prodotti, dai semi ai pesticidi. Per fare qualche esempio recente, nel 2018 la multinazionale statunitense di biotecnologie agrarie Monsanto è stata comprata da Bayer, multinazionale farmaceutica. Fusione invece per due aziende chimiche – Dupont e Dow Chemical – e l’acquisizione dell’azienda Syngenta da parte di Chemchina.
Le monocolture tengono l'agricoltura sotto scacco
In questo modo, come si legge nel libro, “il 63 per cento del mercato delle sementi e il 75 per cento di quello degli agrofarmaci (cioè i pesticidi) è tutto concentrato nelle mani di sole tre multinazionali con evidenti ripercussioni e squilibri commerciali”. Questa consapevolezza sul mercato globale è solo il primo passo verso un cammino dove Mencini incontrerà agricoltori e agricoltrici che hanno scelto una strada diversa.
Una volta arrivati a questo punto, che si sia percorso il sentiero lungo o imboccato la scorciatoia, si arriva alle storie di chi, dalle valli alle piane calabresi, dà un senso diverso al proprio mestiere.
Mencini inizia dalle valli della sua regione, Veneto, nelle province di Belluno e Verona.
Tra i luoghi visitati c’è San Tomaso Agordino, un paese arroccato tra le montagne dove il sapere sulle sementi locali viene tramandato ai giovani, in modo che possano non solo custodirne il valore ma anche capire che esistono molte più varietà di frutta e verdura di quelle che conoscono meglio, con gusti diversi. C’è il “Vecio Pomer” di Oscar e Francesco, dove si piantano mele del territorio: più piccole, non perfette, ma dal sapore inconfondibile.
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L’autore si sposta poi in Val Bormida e sulle colline torinesi, per incontrare, tra gli altri, Monica e la cooperativa Maramao, Cooperativa agricola sociale biologica che produce e trasforma “non solo prodotti agricoli bio ma anche relazioni, approcci e visioni sane”, e Alessandra della cascina Malerbe, con sei ettari di terra, tra orti naturali, alberi da frutta, cereali e leguminose, prati a pascolo e bosco. Praticano e rivendicano un’agricoltura contadina, agroecologica e solidale.
Nei pascoli abbandonati, i deserti d'Europa
A Roma, il viaggio fa una deviazione che, in realtà, è parte del percorso della nostra storia. Al Museo della Civiltà di Roma, Mencini ripercorre il nostro passato coloniale, che ha avuto come conseguenze anche lo sfruttamento delle risorse naturali, anche di sementi, e dell’imprenditoria coloniale. Ha poi incontrato Claudio che, dopo aver abbandonato l’agricoltura tradizionale (e l'utilizzo di fitofarmaci), ha deciso di investire in nell'azienda bio Caramadre, ma non voleva fare il contadino per quattro “radical chic”, visto il prezzo spesso molto più alto dei prodotti bio rispetto a quelli convenzionali. Ha poi aggiunto: “Io voglio fare quello zucchino ma quello zucchino deve mangiarlo anche l’operaio”. È stato un incontro che ha messo in luce anche i limiti da superare per rendere accessibili frutta e verdura biologici e biodinamici.
In Molise, ci sono oltre 70 varietà di mele, oltre 90 varietà di pere, 110 varietà di uva, più tutti i frutti minori, sorbi e cereali
In Abruzzo, Mencini incontra Fabrizio, esperto produttore di grano Solina, antica varietà di frumento tenero dell’Appennino abruzzese, e poi va in Molise dove, grazie alla passione di associazioni e agricoltori, scopre che nella regione “ci sono oltre 70 varietà di mele, oltre 90 varietà di pere, 110 varietà di uva, più tutti i frutti minori, sorbi e cereali”.
La tendopoli di San Ferdinando è ancora un ghetto per i braccianti
L’ultimo capitolo è dedicato alla Calabria, a Nino, a Lamine, al Consorzio Macramè e ai terreni confiscati alla ‘ndrangheta. “Questi sono i passaggi che mi hanno colpito di più, perché qui più che mai giustizia ambientale e giustizia sociale si intersecano. Da una parte lo sfruttamento dei campi di Rosarno, le baraccopoli dove la dignità viene calpestata, dall’altra esperienze di riscatto, come la Cooperativa Della Terra Contadinanza Necessaria, per fare la differenza, per scegliere cosa mangiare e, quindi, che futuro scegliere”.
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