

Chi fornisce le armi a Israele? L'Italia prende tempo, ma intanto acquista da Tel Aviv

10 giugno 2025
Nessuno dei cinque referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza ha raggiunto il quorum. L’affluenza definitiva si è fermata al 30,6 per cento, ben lontana dalla soglia del 50 per cento più uno degli aventi diritto necessaria per rendere valido il voto.
Il quinto quesito referendario proponeva la riduzione da 10 a 5 anni di residenza legale in Italia per poter avanzare la domanda di cittadinanza italiana da parte dei cittadini non appartenenti all'Unione europea. Si tratta soltanto di uno dei requisiti necessari per poter richiedere la cittadinanza: oltre alla residenza legale, che deve essere continuativa e ininterrotta, bisogna dimostrare anche adeguati mezzi economici di sostentamento, il regolare adempimento degli obblighi fiscali e un’adeguata conoscenza della lingua italiana (livello minimo B1). Dalla richiesta posso passare alcuni anni (massimo 24 mesi, prorogabili fino a 36 mesi) prima di ricevere una risposta. Una volta ottenuta, la cittadinanza viene automaticamente trasmessa ai propri figli e alle figlie minorenni.
La proposta di ridurre da 10 a 5 anni la durata della residenza, avanzata dai comitati, associazioni e attivisti che hanno raccolto le 500mila firme necessarie, nasceva dall’esigenza di allineare la normativa italiana a quella dei maggiori paesi europei, dove in media sono richiesti cinque anni di regolare soggiorno per la naturalizzazione. Il risultato ha deluso le aspettative di quanti, da anni, si impegnano per una riforma della legge sulla cittadinanza.
La cittadinanza italiana è ancora questione di sangue
“Mi aspettavo più empatia da parte dei cittadini italiani, più responsabilità per l’esercizio del diritto di voto e i valori della democrazia”Remon Karam - Attivista e mediatore culturale
Ne abbiamo parlato con Remon Karam, 26 anni, attivista per i diritti umani. Arrivato dall’Egitto nel 2013 attraversando il Mediterraneo in fuga dalle persecuzioni religiose (è cristiano copto), oggi Karam non è ancora cittadino italiano e lotta per dare voce a chi, come lui, non può votare. “Sono deluso e amareggiato, anzi arrabbiato: mi aspettavo che il quorum non sarebbe stato raggiunto, ma non questo risultato. Mi aspettavo più empatia da parte dei cittadini italiani, più responsabilità per l’esercizio del diritto di voto e i valori della democrazia per i quali i vostri nonni hanno combattuto con il proprio corpo, con la vita”, afferma.
In particolare, Karam ce l'ha con chi si è astenuto: “È stato calpestato il riconoscimento di diritti e di dignità: si votava per un diritto concreto di lavoratori e stranieri, non per poltrone o promesse politiche. Capisco chi ha votato 'no', non chi è restato a casa. In Italia regna l’egoismo: se non mi riguarda, non vado a votare. Sulla cittadinanza ha vinto la farsa politica secondo cui gli immigrati pesano sulle casse dello Stato, ma interi settori economici sono sostenuti dalla manodopera non italiana: ogni anno il Pil aumenta di due miliardi grazie al contributo di lavoratori e lavoratrici stranieri”.
Una riforma sulla cittadinanza per sentirmi parte di una comunità
“Riguardo al futuro sono pessimista – continua Karam –. Stiamo vivendo un’età di decadenza, siamo sull’orlo di un baratro: finché non cadremo, non ci sarà mai luce né rinascita. È una morte lenta della democrazia e della Repubblica. E come con il fascismo, dobbiamo toccare il fondo per il riscatto”.
Nel 2023 in Italia sono nati 51.447 bambini da genitori stranieri; il 10,7 per cento degli alunni iscritti nelle scuole italiane ha passaporto straniero
Nel 2023 in Italia sono nati 51.447 bambini da genitori stranieri; il 10,7 per cento degli alunni iscritti nelle scuole italiane ha passaporto straniero. Nonostante l’Italia sia di fatto il loro Paese, il luogo in cui sono nati o cresciuti, dove hanno ricevuto un’istruzione e lavorano, si stima che circa due milioni e mezzo di stranieri residenti non sono riconosciuti come cittadini dallo Stato.
Cittadinanza, superiamo questo vergognoso stallo
La legge attuale, la numero 91 del 1992, non permette loro di far parte a pieno titolo della società italiana. In più occasioni la politica ha provato a riformare la norma, introducendo forme di ius soli temperato (per sapere di cosa si tratta, leggi qui) o proponendo lo ius scholae, ma non si è mai arrivati al dunque.
In questi trentatré anni però l’Italia è cambiata, e la legislazione non rispecchia più la società che regola: è anacronistica. La cittadinanza è una questione di diritti, di identità e di dignità: non è un privilegio, ma il riconoscimento che la diversità è un valore.
Crediamo in un giornalismo di servizio di cittadine e cittadini, in notizie che non scadono il giorno dopo. Aiutaci a offrire un'informazione di qualità, sostieni lavialibera
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti
Crisi idrica, incendi, mafie e povertà: chi guadagna e chi si ribella nella Sicilia delle emergenze
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti