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10 settembre 2025
Ottanta anni e una vita fatta di impegno su tutti i fronti. Don Luigi Ciotti, nato il 10 settembre 1945 a Pieve di Cadore (Belluno) e presto trasferito insieme ai genitori a Torino, dove vive ancora oggi, fondatore del Gruppo Abele, presidente di Libera e direttore editoriale de lavialibera, compie gli anni.
Impegnato fin da giovane nell’aiuto alle persone con problemi di tossicodipendenza, nel 1972 è diventato sacerdote: "È in quella dimensione che trovo la mia personale via alla felicità. Nel guardare al cielo senza mai dimenticare le responsabilità a cui ci chiama la terra, per realizzare la necessaria saldatura fra fede, etica e azione politica", ha scritto Luigi Ciotti nell'editoriale del numero de lavialibera dedicato alla felicità. Al momento in cui divenne un prete, l’arcivescovo di Torino, il cardinale Michele Pellegrino, gli disse: “La parrocchia sarà la tua strada”. Ma già nel 1965 Ciotti aveva fondato il gruppo Gioventù impegnata, nucleo da cui nascerà poco tempo dopo il Gruppo Abele, organizzazione che da più di cinquant’anni accompagna persone con problemi di dipendenza, donne sfruttate e vittime di violenza, migranti, uomini e donne senza una casa e giovani abitati dall’inquietudine. Temi sempre attuali.
"Di recente abbiamo riaperto una struttura del Gruppo Abele che aveva chiuso subito prima della pandemia: il Centro crisi. A lungo aveva accolto persone senza dimora e con problemi seri di dipendenza da alcol e droghe, per un periodo di tregua dalle asprezze della vita di strada e dai consumi di sostanze, soprattutto l’eroina. Ma ci eravamo accorti che le cose stavano cambiando. Cambiavano le persone che incontravamo, le loro storie, i loro bisogni. Cambiavano le sostanze utilizzate, e soprattutto i modi e i motivi. Dai nostri osservatori sulla strada, nelle scuole, fra le famiglie, notavamo nuove forme di consumo farsi largo fra i giovani, e un nuovo disorientamento, non sempre legato alle droghe, che faticava a essere riconosciuto e affrontato dal mondo adulto", ha raccontato Ciotti denunciando come il problema dell'abuso di sostanze stupefacenti non sia scomparso, ma sia diventato meno visibile.
L'attenzione verso i giovani è dimostrata anche dal progetto Amunì: "Punire quasi mai funziona, educare molto spesso sì. E prevenire il disagio giovanile investendo nell’istruzione e nel benessere – materiale, fisico e morale – rimane la strada maestra", ha scritto il fondatore del Gruppo Abele.
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Questo impegno lo ha portato in contatto con molte altre realtà sociali italiane insieme alle quali, nel 1995, ha fondato Libera, la rete di “associazioni, nomi e numeri contro le mafie” che – sempre quest’anno – ha compiuto 30 anni. “Il progetto e l’identità di Libera sono scritti da trent’anni nel suo nome – ha scritto nell’editoriale del numero 31 de lavialibera –. Fin dall’inizio del cammino, infatti, ci siamo dati un orizzonte d’impegno vasto, scegliendo di appellarci al bene più prezioso, quello da cui dipendono tutti gli altri: la libertà. Libertà dalle mafie, certo. Dalla corruzione, dall’illegalità e dal malaffare. Però non solo! Perché già nel 1995, e poi in maniera via via più chiara, abbiamo coltivato la consapevolezza che tutti quei problemi non fossero altro che la manifestazione più virulenta di malattie sociali antiche e radicate, che tengono prigioniere le persone: povertà, ingiustizie, disuguaglianze, assuefazione agli abusi del potere".
Circa un anno fa, in commissione parlamentare antimafia, ha incitato i parlamentari a fare "una mossa in più" per difendere le donne dalle mafie approvando norme a sostegno del progetto "Liberi di scegliere". E il 21 marzo scorso a Trapani, in occasione della giornata in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, ha ricordato che “l’Italia è un paese non ancora del tutto libero: il processo di liberazione non è ancora terminato. Gli avversari di cui dobbiamo liberarci oggi si chiamano corruzione, mafia, disuguaglianze, povertà e abuso di potere”.
Luigi Ciotti: "Liberiamo l'Italia da mafie e disuguaglianze"
Ciotti ha spesso richiamato tutti all'impegno e alla partecipazione: "Prendere parte e prendersi una parte di responsabilità. Insieme. Ogni giorno. Perché anche quando non siamo direttamente coinvolti dal problema nell’immediato, non è detto che non lo saremo in futuro. E aspettare che siano sempre gli altri ad agire significa mettere nelle loro mani il nostro destino: rinunciare a una quota della nostra libertà – è il pensiero espresso nell'editoriale di uno degli ultimi numeri della rivista –. Non tutti purtroppo hanno questa lungimiranza. Chi gode di un certo benessere, di una certa tranquillità a livello materiale e sociale, può avere la tentazione di costruire intorno a sé e ai propri cari un muro invisibile di protezione. È il muro dell’indifferenza, che crea un senso di isolamento rispetto ai mali esterni; non ha finestre, al massimo sottili feritoie, attraverso le quali guardare solo una porzione ristretta di mondo: quella di chi ci piace e ci somiglia, che non ci mette in difficoltà. Sappiamo che esistono guerre sanguinose, malattie terribili, disastri ambientali, forme di sfruttamento feroci, fragilità del corpo e dell’anima. Non soltanto in terre lontane ma anche qui, vicino a noi. Però, finché il muro ci impedisce di guardarle, non ci riguardano. Ma questo muro che crediamo di aver eretto come una fortezza si rivela alla lunga una gabbia, che invece di proteggerci ci rinchiude".
Luigi Ciotti: "Contro il muro dell'indifferenza, ci vuole il coraggio di costruire"
Appassionato di montagna, Ciotti ha negli ultimi aumentato l’impegno anche a difesa dell’ambiente, con l’avvio di Casa comune, scuola di formazione sui temi dell’ecologia integrale, e il sostegno all’iniziativa Open Olympics per la trasparenza e il monitoraggio civico sulla spesa e sulle opere delle olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026: “Proprio mentre scrivo le montagne delle Dolomiti, che mi sono particolarmente care perché lì affondano le mie radici familiari, rivelano aspetti di fragilità troppo spesso taciuti o minimizzati – ha scritto nell’editoriale del numero 33 –. Una frana ha travolto l’abitato di Borca di Cadore, per fortuna senza danni alle persone. Sempre lì, nel 2009, un’altra frana aveva causato due vittime, e malgrado ciò la zona era stata presa in considerazione come possibile sede di alcune strutture del villaggio olimpico per Cortina 2026. La montagna che frana ci manda dei segnali importanti, prima di tutto sullo sgretolamento dell’etica pubblica che mette a rischio l’integrità dei territori e la vita di chi li abita. Segnali che vanno raccolti, ascoltati, analizzati. Perché la montagna oggi si rivela un ambiente particolarmente vulnerabile, che chiede attenzione e protezione”.
“Sono felice in questo preciso istante? Non saprei. Ho tante preoccupazioni addosso, legate sia al clima cupo che aleggia sul mondo, fra guerre, crisi ecologica, discriminazioni e disuguaglianze crescenti, sia alle fatiche quotidiane di tante persone e famiglie che incontriamo col Gruppo Abele e con Libera. Gente segnata dalla povertà, dalla malattia, dalla negazione dei propri diritti, dalle minacce del crimine organizzato. Eppure, non posso nemmeno dire di essere infelice”, ha scritto ancora.
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