Il murales per le vittime innocenti della camorra a Ponticelli
Il murales per le vittime innocenti della camorra a Ponticelli

A Ponticelli le bombe squarciano anche la società

La periferia est di Napoli è da tempo ostaggio di attentati e omicidi. Ma gli arresti non bastano: la violenza lascia ferite sociali che solo la società civile tenta di sanare

Alessandro Bottone

Alessandro BottoneGiornalista

10 dicembre 2021

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Deflagrazioni nel cuore della notte, sparatorie, omicidi in strada. Negli ultimi mesi a Ponticelli, quartiere di oltre cinquantamila abitanti nella periferia orientale di Napoli, riemerge la violenza dei clan di camorra dopo un periodo di apparente quiete. Si lanciano bombe e si spara per intimidire, si ammazza per vendetta e per assicurarsi il controllo dei rioni di case popolari dove le piazze di spaccio fanno profitti e trovano consensi. Un conflitto non riconosciuto al quale c’è chi si oppone con tenacia.
L’ultimo episodio è avvenuto la notte tra il 5 e 6 ottobre quando è stato ammazzato Carmine D’Onofrio, figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, quest’ultimo considerato dagli inquirenti una figura importante dell'omonimo clan di camorra che già da tempo ha la sua base operativa proprio nel quartiere. Ventitré anni e incensurato, D’Onofrio è stato raggiunto da diversi colpi di pistola intorno alle due di notte mentre stava rincasando insieme alla compagna incinta.

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Una lunga scia di polvere pirica

Il suo omicidio è stato preceduto da un altro episodio. La sera del 28 settembre un ordigno rudimentale è esploso nel cortile di un condominio di via Piscettaro, a due passi dalla piazza principale. L'esplosione ha ferito una donna, colpita da alcune schegge. Quel condominio non è un palazzo qualunque: qui abita Marco De Micco, considerato il capo del clan che porta il suo stesso nome, scarcerato da poco. La deflagrazione è, per chi indaga, un atto intimidatorio verso il sodalizio in conflitto con altri gruppi di camorra e l’omicidio del 23enne è ritenuto un episodio di vendetta del clan rivale.

Quella di via Piscettaro è soltanto l’ultima bomba fatta esplodere tra le strade di Ponticelli generando preoccupazione e sconcerto tra residenti e commercianti. La mente di tanti torna alle 3.30 del 18 marzo in via Crisconio: una bomba gettata nei cassonetti dei rifiuti a ridosso delle case popolari sveglia la gente di soprassalto e molti pensano a un terremoto. Una settimana dopo diverse zone di Ponticelli diventano teatro di agguati in piena notte, nonostante le restrizioni per l’emergenza sanitaria. L’11 maggio un ordigno danneggia nove automobili in via Esopo, considerata la roccaforte di un altro gruppo. Il 14 maggio in via Vera Lombardi un’altra bomba. Una cronologia pesante alla quale si aggiunge la “stesa” di camorra (un’incursione di persone in scooter che sparano all’impazzata per spaventare la gente, ndr) nel complesso di edilizia residenziale erroneamente conosciuto come “lotto zero”. In questa serie di episodi si iscrive anche l’agguato di agosto scorso in cui muore un 46enne nel rione De Gasperi, palazzine realizzate col piano Marshall dopo la Seconda guerra mondiale.

A Ponticelli la camorra è un fenomeno noto da tempo. Lo storico clan degli anni Ottanta, Novanta e Duemila – quello dei Sarno – è stato disarticolato da importanti indagini. In poco tempo vecchi criminali scarcerati e nuove leve hanno formato altri gruppi che provano a controllare i traffici di droga e altre attività illecite come le estorsioni. Agguati, sparatorie e omicidi tornano ciclicamente fino al raggiungimento di un ennesimo precario equilibrio. L’autobomba del 1998, che uccise un pregiudicato lungo la trafficata via Argine, è un triste precedente. E qualche anno prima la mano criminale aveva tolto la vita a quattro persone innocenti in quella che sarà ricordata come la strage di san Martino. Era l’11 novembre 1989 quando nel bar sul corso principale i camorristi ammazzano Domenico Guarracino, Gaetano Di Nocera, Salvatore Benaglia e Gaetano De Cicco. In un altro bar a poca distanza il 6 gennaio 2000 si consumerà la tragedia di Felice De Martino, fioraio 26enne ferito a morte da un proiettile, una vittima innocente come Ciro Colonna, ucciso nel 2016: il 19enne era in un circolo ricreativo del suo rione ed è stato colpito dai proiettili di sicari a caccia di un delinquente.

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Un certo senso di scoramento

"Il nostro compito è dimostrare ogni giorno che una vita buona è possibile anche dove c’è violenza"Cesare Moreno - Presidente onlus Maestri di strada

"L’omicidio di D’Onofrio ha avuto un impatto devastante sulla convivenza civile. Fatti come questo sono una lacerazione nel tessuto umano di un territorio – afferma Cesare Moreno, presidente della onlus Maestri di Strada che opera da anni a Ponticelli contro dispersione scolastica e povertà educativa –. Non c’è indifferenza. I nostri allievi, ragazzi che incontriamo ogni giorno, su cui investiamo e con i quali sogniamo, sono esposti a tutto ciò". Le ferite della ferocia umana, secondo l'educatore, non possono essere sanate dagli arresti: "Il nostro compito educativo non è nascondere l’assurdo e neppure immaginare di poterlo cancellare, ma dimostrare ogni giorno che una vita buona è possibile anche dove c’è violenza, che ognuno di noi può sempre scegliere di vivere pacificamente e di non cedere alla violenza in nessuna forma".

Alla recrudescenza criminale dei clan rispondono cittadini e associazioni che si fanno forza e cercano le istituzioni. "A dispetto di quel che si può pensare, queste 'prove di forza', con cui i clan vogliono farsi sentire e marcare il territorio, sono sintomo della loro debolezza. Nel periodo di massima forza della camorra non si parlava di sparatorie, rapine o altro: il controllo territoriale era di tipo militare e coadiuvato da una richiesta del pizzo molto capillare", spiega Pasquale Leone, presidente dell’associazione TerradiConfine. Lui rileva assuefazione tra i residenti, ma "c’è poi una fetta residuale di territorio che alla paura e all’indifferenza risponde rimboccandosi le mani, unendosi per chiedere alle istituzioni di fare la propria parte attraverso la sigla 'Disarmiamo Ponticelli, comitato di liberazione dalla camorra'”.

I residenti sono scoraggiati e ormai abituati alla situazione: questa è la lettura dei fatti di Michele De Martino che agli studenti di Ponticelli ha raccontato la storia di suo fratello Felice, vittima innocente della criminalità organizzata, incontrando una reazione forte e positiva nei giovani. Il quartiere era molto diverso dagli anni passati. Strade e piazze hanno cambiato volto con la “ricostruzione” post-sisma del 1980 quando sono stati costruiti gli enormi palazzoni, alcuni grattacieli e tanti edifici pubblici che restano spesso senza cura, come la piscina comunale chiusa da un anno e mezzo. Per Michele la responsabilità della fuga dei ragazzi, che cercano altrove un modo per vivere, è dei criminali ma anche degli amministratori e della classe politica, incapaci insieme di salvare l’identità e la storia del quartiere e, soprattutto, creare opportunità e spazi di condivisione sani. Crisi dell’identità sociale e della comunità sono i due mali che mettono in ginocchio la periferia di Napoli. Lo crede don Federico Saporito, decano della Diocesi di Napoli a capo della comunità dei parroci della zona orientale. "Le condizioni di degrado portano le persone ad avere meno occasioni di incontro nei luoghi comuni. La fuga dalle scuole del quartiere verso scuole dei comuni limitrofi, lo spopolamento delle strade come spazi sociali, luoghi di incontro, poche occasioni culturali e la paura sono gli elementi caratteristici degli ultimi anni".

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Resta la paura

"I miei alunni non sono attratti dal mondo criminale perché conoscono da vicino le intimidazioni, i pestaggi e la morte e sanno che provocano sofferenza. Sembra però che abbiano perso ogni speranza in un futuro migliore – spiega Dora Gentile, docente dell’istituto superiore Marie Curie –. Per qualcuno l'unica possibilità è andare via perché qui è tutto perso. Certo, ammirano gli attivisti che quotidianamente si battono per liberare il territorio dalla camorra, ma non lo credono possibile". Non ci sono soluzioni se non ripartire dalla rigenerazione degli spazi sottratti alla camorra, producendo cultura, lavoro e costruendo comunità. Di fronte alla disoccupazione, alla dispersione scolastica e al degrado di molte zone, così come alle sparatorie e agli omicidi di camorra, c’è chi attende solo la normalità.

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