1 gennaio 2023
All’inizio di questo 2023 si attende un passaggio chiave per la politica antimafia e per il controllo dei fondi per Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). A più di due mesi dall’insediamento dei nuovi parlamentari, nonostante gli interventi tempestivi, ancora non è stata formata la commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie, o commissione antimafia.
“È evidente che di fronte alle ingenti risorse che giungono nel nostro paese grazie ai progetti del Pnrr gli appetiti criminali si fanno sempre più forti”Walter Verini e Franco Mirabelli - Senatori Pd
Il 13 ottobre, quando i nuovi eletti sono entrati alla Camera e al Senato, sono state depositate tre proposte: a Montecitorio, c’è quella firmata dall’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, eletto con il M5s; a Palazzo Madama, ci sono quella dell'ex procuratore generale di Palermo e Roberto Scarpinato (M5s), uguale a quella di De Raho, e un’altra sottoscritta dai senatori del Pd Walter Verini, Franco Mirabelli, Anna Rossomando, Alfredo Bazoli, Vincenza Rando e Michele Fina. “È evidente che di fronte alle ingenti risorse che giungono nel nostro paese grazie ai progetti del Pnrr gli appetiti criminali si fanno sempre più forti”, dicevano Verini e Mirabelli il 24 ottobre, cercando di spingere l’acceleratore sulla proposta. Il 27 ottobre scorso la deputata M5s Stefania Ascari, dopo l’ennesima operazione tra Calabria ed Emilia Romagna, rilanciava: “È fondamentale istituire subito la nuova commissione antimafia”.
Da allora, ben poco è successo: la trattazione delle proposte è stata assegnata alle commissioni Affari costituzionali delle rispettive camere, ma non è ancora stata fissata nessuna discussione. Il 21 dicembre Libera (che è, insieme al Gruppo Abele, fondatrice de lavialibera) ha rivolto un appello alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni: “È urgente che il parlamento istituisca in tempi brevi la commissione bicamerale d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e delle altre organizzazioni criminali, e che lavori alacremente per leggere ciò che sta avvenendo sui territori e avanzi accanto alla denuncia delle proposte utili a liberare il Paese dalla morsa degli interessi criminali e dalle troppe connivenze di cui godono”.
Come combatterà le mafie il governo Meloni?
Da sessant’anni il parlamento italiano ha una commissione parlamentare dedicata al problema delle criminalità organizzata, italiana e straniera. La sua sede è a palazzo San Macuto, dove si trovano anche la commissione di vigilanza della Rai e il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), che vigila sui servizi segreti. Siccome è una commissione d’inchiesta, le vengono attribuiti gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria e i commentatori più maliziosi (e anche i massoni) fanno notare che nello stesso palazzo aveva sede la Santa inquisizione e lì si tenne il processo a Galileo Galilei.
“La questione di una lotta oltre che giudiziaria, anche politica e culturale alla mafia, fu posta da alcuni parlamentari già nel 1948, immediatamente dopo la strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947) e i successivi omicidi compiuti da Cosa nostra nei confronti di sindacalisti agrari in Sicilia”, si legge sul sito del parlamento. Bisognò aspettare moltissimi anni prima di vedere un organismo specifico sul tema. Il 20 dicembre 1962 i parlamentari della III legislatura approvarono l’istituzione di una commissione sul fenomeno mafioso, dedicata esclusivamente alla situazione siciliana, ma per mesi non se ne fece niente per lo scioglimento anticipato delle camere: i lavori cominciarono nell’estate 1963, sotto la IV legislatura, dopo la strage di Ciaculli, quando una bomba – destinata alla famiglia mafiosa dei Greco – finì per uccidere sette tra carabinieri, militari e poliziotti. A comporre quella prima commissione antimafia erano trenta tra deputati e senatori e i suoi lavori proseguirono per tre legislature successive. Nella VII legislatura (dal 5 luglio 1976 al 19 giugno 1979 ) non fu istituita. Nella legislatura seguente, la commissione antimafia venne formata soltanto il 13 settembre 1982, dopo gli omicidi di Pio La Torre, deputato e segretario siciliano del Pci, e del suo autista Rosario Di Salvo (30 aprile), e quelli del prefetto di Palermo, generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente di scorta Domenico Russo (3 settembre). “La commissione non ebbe poteri di inchiesta e i compiti che le furono attribuiti furono quelli di verificare l'attuazione delle leggi antimafia, di accertare la congruità della normativa, la conseguente azione dei pubblici poteri ed infine, di suggerire al parlamento misure legislative e amministrative”, si legge sempre sul sito del parlamento. Questi sono in sostanza i compiti che ha tutt’oggi, a cui sono stati aggiunti, dalla legislatura seguente, anche i poteri d’indagine, cui qualche Commissione ha rinunciato, come quella presieduta da Roberto Centaro (2001-2006).
Nonostante i suoi sessant’anni di esistenza, la commissione parlamentare antimafia – la cui utilità è stata talvolta criticata in maniera strumentale – non è una commissione permanente e per questo motivo a ogni legislatura deve essere istituita con un preciso iter di legge, come avviene per le commissioni di indagine parlamentare. Questo dimostra anche quanto la politica ritenga il problema emergenziale e non strutturale.
Ridurre il numero dei commissari, da 50 a 32. Controllare l’efficacia delle norme alla luce dell’evoluzione delle mafie, anche a livello tecnologico e finanziario, e puntare il faro sull’utilizzo dei fondi del Pnrr. Sono alcune delle innovazioni nei testi presentati in parlamento. La proposta del Partito democratico e quelle del Movimento 5 Stelle hanno molte parti in comune, con una struttura e dei principi molto simili alle leggi che, in passato, hanno istituito le precedenti commissioni antimafia. Il Pd segue quel “canovaccio”, riducendo il numero di componenti da 50 (metà del Senato, metà della Camera) a 32 parlamentari: d’altronde – va ricordato – in questa legislatura il numero di eletti è stato ridotto.
Dal M5s un invito a controllare l'attuazione delle norme antimafia alla luce di "mafie silenti" e "mercatiste", ma anche "comitati criminal-affaristici" e "massomafie"
Il M5s introduce alcune innovazioni. Ad esempio De Raho, ex magistrato antimafia a Reggio Calabria, Napoli e alla Dna, e Scarpinato vorrebbero, in linea di principio, che il controllo sulla congruità delle norme già esistenti sia fatto “alla luce delle più recenti evoluzioni delle mafie”, con un occhio di riguardo alle “mafie silenti” e alle “mafie mercatiste”, definizione cara a Scarpinato. Sembra sempre quest’ultimo l’ispiratore delle righe seguenti, in cui si richiama l’attenzione anche “all’integrazione o cooptazione di componenti apicali delle mafie in sistemi criminali più complessi, quali i cosiddetti ‘comitati criminal-affaristici’, sistemi criminali o ‘massomafie’, aventi strutture organizzative e modalità operative che travalicano le tipizzazioni normative vigenti”.
Il testo dei Cinque stelle pone l’attenzione anche all’efficacia delle norme di fronte a un quadro finanziario rinnovato, fatto di “sistemi di pagamento elettronici” e di “valute virtuali, in quanto canali privilegiati dalla rete criminale” nel riciclaggio di denaro sporco. In quest’ottica, vogliono introdurre un principio che amplia i poteri d’inchiesta della commissione nel corso dell’audizione di testimoni: “In nessun caso, per i fatti rientranti nei compiti della Commissione, possono essere opposti il segreto d’ufficio, il segreto professionale e il segreto bancario”. Secondo il Pd, che riprende le leggi di istituzione delle ultime commissioni, “per i segreti professionale e bancario si applicano le norme vigenti”.
Sempre i testi di De Raho e Scarpinato pongono uno specifico obiettivo all’Antimafia: “Programmare un’attività volta a monitorare i meccanismi di sviluppo e attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per verificare l’assenza di anomalie sintomatiche di infiltrazioni mafiose, e valutare l’adeguatezza degli strumenti legislativi e operativi per la tutela delle imprese e dell’economia legale, anche individuando ulteriori soluzioni ritenute utili per prevenire e impedire l’inquinamento mafioso”.
Tutte le proposte vogliono esaminare e monitorare le iniziative dell’antimafia civile, come previsto già da anni, ma il M5s propone una “mappatura” per poi poter “definire nuove e più efficaci strategie da attuare, anche attraverso forme di integrazione, in tale ambito”.
Un’altra differenza tra i testi di Pd e M5s è l’invito – da parte di quest'ultimo – ad “acquisire informazioni sull’organizzazione degli uffici giudiziari e delle strutture investigative competenti in materia, sulle risorse umane e strumentali” e anche “sulla condivisione del patrimonio informativo al fine di un’azione investigativa coordinata”, una maniera per capire eventuali mancanze nei palazzi di giustizia e negli uffici degli investigatori.
Infine, i testi di De Raho e Scarpinato aggiungono un punto misterioso: “Esaminare la possibilità di impiegare istituti e strumenti previsti dalla normativa per la lotta contro il terrorismo ai fini del contrasto delle mafie, indicando eventuali iniziative ritenute utili a questo fine”.
Tutto è ancora fermo e i partiti non hanno ancora potuto proporre i loro componenti. Sembra (ma non è mai stato confermato) che alla guida dell’Antimafia aspirasse Wanda Ferro (Fratelli d’Italia), segretaria della commissione nella passata legislatura, nominata poi sottosegretaria all’Interno. Un nome riportato dall’Ansa quale possibile guida della commissione è quello di Maria Carolina Varchi, deputata FdI e anche vicesindaca di Palermo con deleghe al bilancio, tributi, società partecipate, beni confiscati e legalità, avvocatura. Il 30 novembre scorso Varchi ha presentato insieme ad altri colleghi, la proposta per istituite una commissione parlamentare di inchiesta "sulle cause della mancata individuazione dei responsabili della strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992, nella quale furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta", una proposta lanciata da Giorgia Meloni nel 2019, il cui iter è stato avviato soltanto alla metà dello scorso luglio, durante la crisi di governo e una settimana prima dello scioglimento delle camere.
Fatto sta che, seguendo quanto avvenuto in passato, la presidenza potrebbe andare a un rappresentante della maggioranza parlamentare e non alla minoranza, come avviene invece per il comitato di vigilanza della Rai o il Copasir, che vigila sui servizi segreti.
Certo, a guardare l’operato dell’ultima commissione antimafia, quella presieduta dall’ex 5 Stelle Nicola Morra, ci si potrebbe chiedere se questa istituzione sia davvero necessaria. Sin dall’inizio della scorsa legislatura, i componenti della commissione antimafia si sono divisi in piccoli comitati (16 già nel 2019, saliti poi a 21) per occuparsi dei temi più disparati, ognuno cercando di coltivare un suo orticello.
Pochi lavori sembrano aver seguito i compiti fissati dalla legge istitutiva (come le relazioni sull'ergastolo ostativo o il carcere duro per i mafiosi, o ancora quello sulla gestione dei beni sequestrati e confiscati) e i risultati di quanto è stato fatto non sempre convincono: ad esempio le audizioni sulle scarcerazioni dei boss a causa del Covid sembravano inseguire le puntate di Non è l’arena, la trasmissione di Massimo Giletti della domenica sera su La7, e la relazione conclusiva, nella parte che riguarda le proteste del carcere, appare contraddittoria soprattutto quando non tiene conto di quanto emerso negli approfondimenti della Direzione nazionale antimafia e del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria.
Rivolte nelle carceri, l'Antimafia insiste sulla "regia unica"
Certo, non ha aiutato la fine anticipata della legislatura, avvenuta con sette, otto mesi di anticipo sul previsto. Questo ha fatto sì che alcuni lavori non siano andati a fondo. Il risultato, comunque, non è dei migliori. Ad esempio, il gruppo che si occupava di mafie e logge massoniche ha realizzato una striminzita relazione che nulla aggiunge a quanto già si sa o a quanto già rivelato dal lavoro della commissione presieduta da Rosy Bindi tra il 2013 e il 2018. Altri comitati hanno dato l’impressione di voler seguire alcune trasmissioni tv impegnate a risolvere i cold case, fatti di cronaca non del tutto risolti, e i misteri d'Italia: ecco allora l’indagine sulla morte di Marco Pantani, dietro cui ci sarebbe la camorra; quella sulla morte di Pier Paolo Pasolini con la pista della banda della Magliana (tesi contestata sia da Giancarlo De Cataldo su La Repubblica, sia dall’esperto cronista Massimo Lugli su Il Foglio: al momento della morte dello scrittore e regista, l'organizzazione criminale romana non esisteva); i delitti del mostro di Firenze (in un turbine di massoneria ed estrema destra) e l’omicidio di via Poma con un generico coinvolgimento della criminalità romana. Nella legislatura precedente, soltanto tre relazioni riguardavano cold case: l’omicidio di Attilio Manca, quello del sindacalista Mico Geraci e poi il caso del furto della “Natività” di Caravaggio dalla chiesa di San Lorenzo, a Palermo. Andando ancora più indietro, le precedenti commissioni non avevano steso documenti specifici su tutti questi casi.
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