Lo sguardo di JR sulle periferie del mondo

Alle Gallerie d'Italia di Torino la mostra Déplacé.e.s dello street artist francese JR, col suo progetto con i bambini di cinque campi profughi del mondo

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

9 febbraio 2023

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Dalle banlieue di Parigi, il suo sguardo si è spostato sulle periferie e sulle frontiere del mondo. Nel 2022, ha puntato i riflettori sui cinque aree dove le persone in fuga da guerre e miseria cercano riparo, campi profughi, villaggi e confini. Lì ha portato le sue performance, collettive e coinvolgenti: le fotografie di bambini stampate su teli di 45 metri, portate in processione, riprese dall’alto con un drone per avere immagini da rilanciare dai social network. Il progetto si chiama Déplacé.e.s (il termine sfollato, declinato in ogni genere e numero) e lui si chiama JR, street artist francese di 40 anni. Dal 9 febbraio il suo lavoro è esposto alle Gallerie d’Italia a Torino (fino al 16 luglio), città dove martedì ha portato le foto giganti dei suoi soggetti: c’è Thierry, profugo della Repubblica democratica del Congo ospite del campo profughi di Mugombwa, in Ruanda; Valeriia, una bimba in fuga dalla guerra in Ucraina; Jamal, bambino del Mali rifugiato in un campo profughi della Mauritania; Mozhda, piccola afghana arrivata a Lesbo; e Andrea, una bimba sfollata in Colombia. Quasi mille volontari, in piazza San Carlo, hanno portato le immagini in processione: “È la prima volta che queste cinque immagini si trovano qui, a Torino – ha spiegato JR al termine della performance –. Abbiamo pensato sin dall’inizio di riunire questi cinque bambini come giocassero insieme”.

Nel Congo in guerra da trent'anni a rimetterci sono i civili

JR, dai graffiti nelle banlieue ai poster

"A 18 anni ho preso coscienza del potere dell'immagine e poco a poco ho pensato a come raggiungere la gente"JR

Cappello nero e occhiali da sole sono i segni distintivi di quest’uomo – il suo nome reale è ignoto – nato nel 1983 a Parigi da genitori ebrei tunisini e cresciuto a Montfermeil, nella periferia. Da adolescente fa i graffiti insieme ai suoi amici, ma presto, grazie a un ritrovamento casuale, scopre la sua vera vocazione: “Quando ho trovato questa fotocamera, che non era buona, nella metro di Parigi, ho cominciato a fare foto ai miei amici che facevano graffiti – ha ricordato nel corso di un incontro coi media in vista dell’inaugurazione della mostra a lui dedicata –. Poi non sapevo cosa farne e allora facevo fotocopie e le incollano per strada”. Le strade, dice lui, rappresentano la sua galleria d’arte. Nell’autunno 2005, nelle banlieue, scoppiano le rivolte dei giovani di seconda generazione dopo la morte di due ragazzi in fuga dalla polizia: “Vedevo le rivolte dalla mia finestra. Sembrava che tutta la Francia fosse in fiamme. Ho cominciato a fare le foto delle persone e incollarle a Parigi e ho trovato il mio senso”. Chiede agli abitanti delle periferie (stigmatizzati sui media) di fare delle smorfie, immortala i loro volti con un obiettivo grandangolare da distanza ravvicinata, stampa dei poster che poi affigge sui muri dei quartieri borghesi. “A 18 anni mi sono trovato in copertina del New York Times. Ho preso coscienza del potere dell'immagine e poco a poco ho pensato a come raggiungere la gente”. Porta questo procedimento anche tra Palestina e Israele nel 2007, dopo la seconda intifada: è il progetto Face 2 Face, con ritratti buffi di israeliani e palestinesi stampati e incollati su un muro costruito da Israele in Cisgiordania.

Viaggio nell'Europa dei muri che teme le migrazioni

Da allora, viaggia per il mondo ponendo nel suo obiettivo, di volta in volta, donne (col progetto Women are heroes), bambini, persone semplici ai margini, come gli abitanti delle favelas di Rio, per dare loro più visibilità con le sue foto giganti incollate su muri, tetti, vagoni ferroviari o navi: nel 2014 gli occhi di una donna kenyana svettano su un’enorme parete di container della Cma Cgm Magellan, partita da Le Havre verso la Malesia. Negli anni Dieci la sua fama aumenta, soprattutto negli Stati Uniti, mentre in Francia qualche giornale giudica il suo lavoro demagogico (nemo propheta patria). A Ellis Island, che fu l’approdo dei migranti europei diretti in Nord America, realizza un’installazione: nelle stanze di un vecchio ospedale abbandonato incolla poster realizzati con foto d’epoca, una maniera per far rivivere la memoria.

Il progetto Déplacé.e.s

 

 

JR si mette in moto anche quando la Russia attacca l’Ucraina: “Durante la guerra la gente mi ha scritto, ha anche bisogno di arte”. Fa stampare su un telo di 45 metri l’immagine scattata da un fotografo, Artem Lurchenko. È quella di Valeriia, una bambina arrivata con la madre al confine con la Polonia. Con i suoi collaboratori, porta a Leopoli l’opera e il 14 marzo, insieme ad alcuni volontari, realizza la performance: il telo viene spiegato e portato in processione da più persone. Un drone dall’alto scatta una foto che finirà sulla copertina del Time e su altre prime pagine. L’azione viene ripetuta in seguito in altre cinque città europee. “Quando sono tornato lì, ho chiesto se avessero bisogno di altri aiuti, come il cibo, ma mi hanno detto di no, che c’era già chi provvedeva. Avevano bisogno che questa immagine piacesse affinché non si dimentichi la guerra”. L’Ucraina è stato il punto di partenza del progetto Déplacé.e.s: a maggio JR va in Africa, in un campo profughi del Ruanda che accoglie persone in fuga dal Congo, e in Mauritania dove arrivano i maliani. A dicembre si reca in Colombia, in un villaggio dove arrivano gli sfollati interni e gente in fuga dal Venezuela, e all'isola di Lesbo, in Grecia. Ovunque fa incollare i ritratti dei bimbi sui muri dei villaggi, organizza dei picnic intorno ai teli su cui sono impressi gli occhi di uno bambino (come nell'immagine qui sotto) e replica la processione come quella avvenuta a Leopoli, ma con altre immagini. Quei teli ora sono a Torino.

Il picnic intorno alla foto gigante degli occhi di un bimbo maliano, dal progetto Deplacées
Il picnic intorno alla foto gigante degli occhi di un bimbo maliano, dal progetto Deplacées

Alla mostra alle Gallerie d’Italia si possono vedere cinque video – in formato verticale come se fossero sullo schermo di uno smartphone gigante – con le storie dei suoi progetti e delle persone incontrate in queste aree, video che JR ha registrato per documentare su Instagram i suoi lavori: “La mia generazione ha avuto le fotocamere digitali e i viaggi low cost – ha detto ancora durante la conferenza stampa –. Ho potuto viaggiare nel mondo e condividere i miei lavori su Internet. Fare mostre è importante, altrimenti il mio lavoro è molto effimero. Lì si vive qualcosa e lo si vive con altri. La tecnologia è solo un mezzo per raggiungere la gente”.

Colombia, pace fatta. Anzi no

JR, un artista impegnato?

"C’è differenza tra attivismo e arte. L’arte solleva delle domande e io non ho risposte"

Un artista engagé? “Non sono un artista impegnato, ma impegnante – ha spiegato durante la conferenza stampa –. C’è differenza tra attivismo e arte. L’arte solleva delle domande e io non ho risposte. Io sono qui per fare un’azione che raggiunga la gente. Viaggio e scopro situazioni che non conosco, non diffuse dai media”. Lì dove va cerca di instaurare un contatto con le persone perché “il cuore di questo progetto è riunire le persone”, coinvolgere le comunità: “L’installazione vera è la partecipazione delle gente. La forza di essere insieme dimostra che questo è un grande potere”. Col progetto Inside Out, JR si apre alla collaborazione con le realtà locali di tutto il globo: “Se tu nella tua città, nel tuo villaggio, nel tuo paese, vuoi fare un’azione – non connessa a una marca o a un governo – mi mandi le foto delle persone, io faccio la stampa gratis e te le mando. Abbiamo mandato 500mila foto nel mondo. A Milano, adesso, c’è questo progetto (sulla facciata del Museo del Novecento, in piazza Duomo, ndr): loro hanno fatto loro delle foto agli anziani e io le ho stampate. Questo è diventato un movimento”.

L’arte può cambiare il mondo

Le sue foto, le sue installazioni e performance, vogliono innescare piccoli cambiamenti concreti. Ma può l'arte cambiare il mondo? “Prima sembra una cosa impossibile, poi si vede che a ogni livello delle persone posso fare un'azione che crea una reazione che può cambiare”, sostiene JR. La sua esperienza personale sembra dimostrarlo: “Nelle banlieue, dove lavoro da venti anni, il sindaco che mi aveva denunciato quando avevo 18 anni, è ancora lì e adesso è coinvolto nel mio progetto artistico per il quartiere e le sue persone. Lui ha riconosciuto di non aver fatto abbastanza e ha cambiato”. Anche nelle favelas, dove è andato a scattare ritratti delle donne da affiggere (e dove ha detto di no ai trafficanti che chiedevano delle foto), pensa di aver influito: “Il sindaco di Rio ha cambiato alcune politiche dopo il mio progetto”. Il cambiamento non avviene soltanto nelle autorità, ma anche a livello intimo e personale: “Ho fatto un progetto coi detenuti di un carcere di massima sicurezza in California (il progetto Tehacapi, ndr). Il 37 per cento di quelle persone che hanno partecipato è stata liberata, perché quella gente grazie all'arte è cambiata”.

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