Aggiornato il giorno 25 giugno 2024
Riflettere sulle mafie in provincia di Latina significa confrontarsi con un complesso intreccio di storie e personaggi appartenenti a diversi clan, uniti in un ampio network criminale che ha consentito loro di sviluppare affari, relazioni e in alcuni casi anche straordinarie carriere politiche. Si tratta di associati alla ‘ndrangheta, alla mafia siciliana, alle camorre, che si coordinano e agiscono in modo innovativo e spregiudicato, responsabili, tra le altre cose, della formazione di organizzazioni mafiose autoctone molto pericolose come, ad esempio, il clan Casamonica-Di Silvio o il clan Ciarelli, non meno brutale e spregiudicato. Ma anche un’organizzazione para-mafiosa indiana che governa, mediante finti leader, il sistema di tratta internazionale, caporalato e gran parte dei servizi di cui i membri della comunità, spesso gravemente sfruttata, ha necessità.
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"La compresenza su quel territorio di un coacervo di gruppi ne ha segnato profondamente il tessuto economico-sociale e anche politico", ha spiegato il procuratore generale di Roma, Giovanni Salvi, all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019. Nel 2020 la Dia ha quindi osservato che "il sud Pontino si caratterizza per la presenza di personaggi legati a vari gruppi criminali, ad esempio esponenti delle ‘ndrine calabresi dei Bellocco, Tripodo, Alvaro e La Rosa-Garruzzo. Sono nel tempo risultate operative proiezioni delle cosche reggine Aquino-Coluccio di Marina di Gioiosa Jonica e Commisso di Siderno. Conferma dell’attualità del coinvolgimento di soggetti di matrice calabrese nei traffici di stupefacenti condotti nel Pontino si è avuta con l’operazione Selfie del maggio 2019". Inoltre, risultano attivi "elementi dei clan Casalesi, Bidognetti. Poi Bardellino, Moccia, Mallardo, Giuliano. Ancora Licciardi, Senese e Zaza. Per i sodalizi campani, vista la contiguità geografica, il sud Pontino costituisce la naturale “area di delocalizzazione”. Sono praticati riciclaggio e reimpiego dei capitali nei settori dell’edilizia e del commercio. Con risorse investite soprattutto nel circuito agroalimentare e della ristorazione, nonché nell’acquisizione e nella gestione delle sale da gioco".
Nell’aprile del 1982, ad esempio, in una clinica di Aprilia moriva Francesco Paolo Coppola (detto Frank tre dita), personaggio di spicco della mafia siciliana emigrato negli Stati Uniti, poi espulso nel 1948. Mentre tra Anzio e Nettuno era già operativa la ‘ndrina dei Gallace di Guardavalle e ad Aprilia quella degli Alvaro di Sinopoli, proprietari di un’azienda agricola di circa mille ettari. Presenze di lunga data sottovalutate da tanti, compresi alcuni rappresentanti istituzionali che hanno definito gli investigatori che cercavano di fare luce su queste vicende come "pezzi deviati dello Stato". Una dichiarazione che ha contribuito a una delle maggiori sconfitte del Paese per ciò che riguarda il contrasto alle mafie, ossia il mancato scioglimento dell’amministrazione comunale di Fondi per condizionamento mafioso del relativo consiglio comunale, avanzata dall’allora prefetto di Latina Bruno Frattasi che ritenne, a ragion veduta, vi fossero "forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata tali da compromettere il buon andamento dell’amministrazione, con grave e perdurante pregiudizio per lo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica". Medesimo obiettivo fu dichiarato, per ben due volte, dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, ma tra il settembre 2008 e l’ottobre 2009 il consiglio dei ministri in carica (Berlusconi 4) non approvò tale decisione. L’intero consiglio comunale si dimise il giorno prima del voto del governo, evitando il commissariamento.
Comuni sciolti per mafia: numeri, motivazioni e conseguenze
Il 27 gennaio 1990 oltre tremila alunni delle scuole superiori scesero in piazza a Formia contro la camorra esibendo uno striscione riportante la scritta "Camorristi vigliacchi uscite dal buio"
Le mafie non vanno solo conosciute e riconosciute. Vanno combattute in modo radicale mediante una nuova, fondamentale alleanza tra le associazioni antimafia, le espressioni migliori delle istituzioni, la procura, le forze dell’ordine, i sindacati e il mondo dell’impresa. Un’alleanza civica imprescindibile quale argine al dilagare della loro presenza, violenza, corruzione, affarismo spregiudicato spesso condotto con la complicità di amministrazioni pubbliche. Agli albori di questa virtuosa azione sociale può essere ricordata la manifestazione antimafia del 27 gennaio 1990, quando oltre tremila alunni delle scuole superiori scesero in piazza a Formia contro la camorra esibendo uno striscione riportante la scritta "Camorristi vigliacchi uscite dal buio".
Fondamentale anche lo sciopero organizzato a Latina, in piazza della Libertà, il 18 aprile del 2016 dalla Flai Cgil e dalla cooperativa In Migrazione, con la partecipazione di oltre cinquemila lavoratori e lavoratrici di origine indiana impiegati come braccianti, che denunciarono un sistema agromafioso fondato su tratta, caporalato e sfruttamento. Quest’ultimo è stato uno degli scioperi più importanti mai organizzato in Italia. Ha permesso di avviare indagini e arrestare caporali e imprenditori criminali che riducevano da anni in condizioni di grave sfruttamento centinaia di braccianti, italiani e immigrati, donne e uomini. Tra le varie operazioni è possibile ricordare quella dell’ottobre del 2019 nelle campagne di Borgo Hermada, culminata con l’arresto di un imprenditore agricolo italiano che minacciava i lavoratori indiani, puntando alla loro testa fucili a canne mozze. Così le agromafie pontine – che secondo l’Eurispes sviluppano in Italia circa 24,5 miliardi di euro l’anno – mostrano il loro volto più truce. Alcuni di questi lavoratori, obbligati a lavorare anche 14 ore al giorno, quasi tutti i giorni del mese, per reggere i ritmi infernali sono indotti ad assumere sostanze dopanti come metanfetamine e oppio. Un business che sta sfociando nell’assunzione anche di eroina, a fronte di un legame ancora più intenso con la camorra e la ‘ndrangheta.
Lavoratori indiani schiavi e dopati, un aspetto dell'agromafia italiana
Le mafie in provincia di Latina non sono quindi presenti in modo sporadico e non sono solo affaristiche. Sono state capaci di attaccare sindaci e amministrazioni con una facilità che lascia senza fiato. Hanno anche ucciso, come dimostra il brutale omicidio di don Cesare Boschin, il parroco della canonica di Borgo Montello trovato incaprettato il 30 marzo del 1995. Una morte che ancora oggi urla verità e giustizia. Don Boschin si batteva contro la discarica dei veleni di Borgo Montello, vicino alla quale abitavano, a presiedere i loro sporchi affari, gli Schiavone, fondatori del clan dei Casalesi.
Va anche ricordato quanto accaduto dentro e intorno al Mof, il Mercato ortofrutticolo di Fondi (leggi l'articolo). Un caso su tutti riguarda l’impegno per conto dello Stato del commercialista Massimo Elesio Giordano, nominato a settembre del 2018 amministratore giudiziario de La Suprema, società di trasporto di Giuseppe D’Alterio, detto Peppe o’ marocchino. Giordano, correttamente, contatta alcuni operatori locali per mandare avanti l'azienda posta sotto sequestro, ma dopo appena quattro mesi deve arrendersi. A febbraio 2019, infatti, l'unico vettore che aveva accettato di collaborare, comunicherà il venire meno delle condizioni per proseguire quel rapporto. Un ripensamento dovuto, secondo gli inquirenti, al pesante condizionamento di D'Alterio. Peppe o’ marocchino negli anni passati è stato più volte colto a trasportare droga insieme all'ortofrutta, confermando che il trasporto su gomma è uno dei principali sistemi di importazione di stupefacenti dalla Spagna attraverso la provincia di Latina.
Per tutte queste ragioni ogni impegno, azione sociale, investigativa e giudiziaria, inchiesta che con competenza e coraggio cerca verità e giustizia contro ogni forma di mafia e di criminalità è quanto mai necessaria e benvenuta. Contro le mafie, ovunque e dunque anche in provincia di Latina, si deve combattere e si può vincere. Sta solo a noi tutti decidere quando.
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