11 dicembre 2024
Oggi pomeriggio a Pagani, in provincia di Salerno, la redazione de lavialibera e l’ex presidente della commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi riceveranno il premio Marcello Torre, dedicato alla memoria dell’avvocato penalista e sindaco di Pagani ucciso dalla camorra l’11 dicembre del 1980, esattamente 44 anni fa. Per il giornale di Libera e Gruppo Abele a ritirare il riconoscimento sarà la direttrice Elena Ciccarello.
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“Per l’impegno di questi anni durante i quali assieme alla tua squadra di giornaliste e giornalisti – spiega la figlia di Marcello Torre, Annamaria – hai posto il tuo lavoro e le tue doti professionali al servizio della verità e della giustizia, della libertà e della dignità dell’uomo, riuscendo a fare della rivista uno strumento di denuncia e di impegno, per la difesa della democrazia e contro ogni forma di ingiustizia e di sopraffazione”.
Marcello Torre era un uomo per bene. Fin da giovane militante nei movimenti cattolici, iniziò il suo percorso politico tra le fila della Democrazia cristiana divenendone presto consigliere nazionale. Nell’estate del 1980, all’età di 48 anni, decise quindi di candidarsi a sindaco nella sua città natale, Pagani, motivando così la sua scelta: “Non sarò mai re a condizione di non essere libero. Io pongo al servizio di Pagani, per un nuovo progetto di vita, il mio coraggio, la pulizia di un nome, la garanzia di un passato, del come ho gestito la cosa pubblica. Senza arroganza, senza barriere e con l’impegno di un confronto giorno per giorno con le forze politiche costituzionali antifasciste”.
Nell’estate del 1980 Torre decise di candidarsi a sindaco nella sua città natale, Pagani, e ne divenne primo cittadino
Torre fu eletto primo cittadino in un periodo storico in cui i Comuni avevano un ruolo centrale nella gestione della cosa pubblica e, soprattutto, si ritrovavano a gestire grosse somme di denaro. L’avvocato mise subito in chiaro quale sarebbe stato il suo modo di fare politica, che non prevedeva alcuna intromissione di affaristi o persone legate ai clan criminali.
Un’amministrazione ligia, che presto lo porterà all’isolamento. Come accaduto ad altri servitori dello Stato che hanno scelto di non piegarsi alle mafie e alla corruzione, anche Torre capì che la propria vita era a rischio e la decisione di fare testamento a soli 48 anni ne è la riprova.
Nel novembre 1980 l’Irpinia venne colpita da un violento terremoto che causò circa 3mila vittime e in più occasioni Torre si schierò apertamente contro le infiltrazioni della camorra nelle procedure di assegnazione degli appalti per il sisma. Per i clan era davvero troppo e così l'11 dicembre di quello stesso anno due sicari attesero l'avvocato fuori dalla sua abitazione di via Perone, e gli spraraono contro decine di colpi di lupara.
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Quando Torre venne assassinato, Annamaria aveva soltanto 18 anni. In questo ore, in attesa della cerimonia di conferimento del Premio, ha ricordato così suo padre:
“Undici dicembre 1980, tutto ritorna, sempre lì come se non fossero passati 44 anni. Ritorna come un fermo immagine di uno scatto fotografico cristallizzato nel tempo, con lo stesso dolore, con lo stesso sgomento. Però ho fatto del tuo sacrificio il mio punto di partenza, anche se ci è voluto un po’ di tempo per capire e lenire lo strappo violento. Mamma è stata fondamentale per me e non solo in questo percorso di memoria, di richiesta di verità e giustizia, ma soprattutto di resilienza e responsabilità. Ho incollato la mia vita come un vaso rotto e lo ho reso prezioso ricoprendolo d’oro, tra una ferita e un’altra, tutto ciò per far risplendere la tua memoria, il tuo esempio di rettitudine e di amministratore onesto di avvocato. In questa Italia dove la corruzione è sempre più normalizzata, ma che non normale non è. Caro papà, per questo e per il tuo, il nostro, sogno di libertà e civiltà lotterò sempre”.
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“La morte di mio padre – continua – segnò per la nostra famiglia e per l’intera comunità paganese un colpo durissimo. Mia madre Lucia se n’è andata dopo una vita spesa per tenere viva la memoria di suo marito e chiedere per lui verità e giustizia. La giustizia terrena è arrivata dopo oltre venti anni di attesa e ci ha lasciato ancora l’amaro in bocca, attribuendo la responsabilità dell’omicidio di Marcello a Raffaele Cutolo, condannato come mandante, ma di fatto non prendendo in alcuna considerazione la matrice politica del delitto. Eppure Marcello aveva scritto chiaramente, in una lettera data 30 maggio 1980, dunque ben prima del suo assassinio e anche del terremoto del 23 novembre, che di certo fu un elemento determinante nella decisione di decretarne la morte, e consegnataci solo dopo la sua fine, di avere intrapreso una battaglia politica assai difficile e di temere per la sua vita”.
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“Questa è una storia singolare, per il ruolo di mio padre, il contesto nel quale si è sviluppata, le ombre che l’hanno avvolta. Dapprima mia madre, poi mio fratello (anch’egli di fatto una vittima innocente, ucciso dal dolore per la morte di mio padre che mai è riuscito a superare) e io, poi ancora i miei figli e mio nipote, abbiamo combattuto ogni giorno della nostra vita perché il nome e la memoria di Marcello non fossero lasciati morire con lui. Accanto a noi, decine di giovani, studenti, attivisti e volontari di Libera, che ogni giorno si danno da fare per trasformare questa memoria in impegno, per raccontare la storia di mio padre, per tenerne vivo il ricordo e rinnovarne la lezione di libertà. La sua testimonianza ha segnato per noi il cammino e noi continueremo ad impegnarci perché abbia un senso concreto anche nella realtà di oggi”.
Nel frattempo, il governo sembra allentare il suo impegno antimafia, come dimostrano alcuni provvedimenti, due in particolare, contenuti nella legge di bilancio in fase di approvazione, che prevedono la cancellazione del fondo per la manutenzione di opere pubbliche negli enti locali sciolti per mafia e il taglio netto (riducendolo a un sesto) del fondo destinato agli amministratori locali vittime di minacce e intimidazioni mafiose.
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“Non vorrei che si tornasse a 44 anni fa – commenta Torre –, quando è stato assassinato papà non c’era nulla. Siamo stati antesignani, insieme agli avvocati di Salerno, nella lotta per ottenere il riconoscimento dei diritti delle vittime. Ora temo che tutto quello che abbiamo conquistato possa svanire”.
E ancora: “Mi ha lasciato perplessa anche l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, che in un certo senso mortifica il ruolo dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione ndr). È sotto gli occhi di tutti che oggi le mafie non uccidono ma corrompono, e questa cosa mio padre l'aveva capita già negli anni Ottanta”.
“Mi ha lasciato perplessa anche l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, che in un certo senso mortifica il ruolo dell’Anac", dice Annamaria Torre
“Marcello credeva nella Costituzione ma non era un eroe – conclude Torre –, ha solo fatto il suo dovere e per questo ha pagato con la vita. Adesso spetta a noi tutti tenere alta la guardia e far si che i diritti conquistati, anche con i sacrifici dei nostri cari, non vadano perduti”.
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