Santo Stefano Quisquina, 10 agosto 2023. Una ragazza posa un fiore sulla lapide senza nome dei migranti morti a Lampedusa, che hanno trovato degna sepoltura nel cimitero del piccolo comune siciliano. Foto M. Panzarella
Santo Stefano Quisquina, 10 agosto 2023. Una ragazza posa un fiore sulla lapide senza nome dei migranti morti a Lampedusa, che hanno trovato degna sepoltura nel cimitero del piccolo comune siciliano. Foto M. Panzarella

Cosa il governo (non) sta facendo per dare un nome ai migranti morti in mare

Mentre ong ed Europa chiedono di fare di più per identificare i corpi delle vittime del Mediterraneo e dare risposte alle famiglie, l'Italia diserta il tavolo internazionale sul tema ed esclude i dati dal registro nazionale. Intanto il Commissario straordinario del governo, un tempo protagonista, si tira fuori

Paolo Valenti

Paolo ValentiRedattore lavialibera

31 ottobre 2025

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Mentre la società civile e le organizzazioni internazionali chiedono di fare passi avanti sull’identificazione dei migranti morti in mare, l’Italia sembra tornare indietro. Lo dicono i dati sempre più inaccessibili, quando non inesistenti, la mancata partecipazione al tavolo internazionale sul tema e le parole con cui ora il Commissario straordinario del governo alle persone scomparse si dichiara “non competente in materia migratoria”.

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Eppure, dieci anni fa, il nostro Paese faceva scuola: “Dopo i tre grandi naufragi del 2013 e del 2015, l’allora Commissario Vittorio Piscitelli era stato invitato all’Onu a parlare dello straordinario lavoro fatto – ricorda Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 Ottobre, nato per coltivare la memoria delle stragi del mare e assistere le famiglie delle vittime –. Oggi di quell’impegno non rimane quasi nulla”.

Perché identificare i corpi dei migranti

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) stima a quasi 33mila il numero di persone disperse nel Mediterraneo dal 2014. Eppure, secondo la Croce rossa internazionale, i corpi vengono ritrovati in meno di un caso su dieci ed è ancora inferiore la percentuale di quelli che poi vengono identificati. In tutti gli altri casi, le famiglie nei paesi d’origine rimangono senza risposte, intrappolate in un limbo psicologico e burocratico che può durare decenni.

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) stima a quasi 33mila il numero di persone disperse nel Mediterraneo dal 2014

In gergo scientifico si chiama “perdita ambigua”: è la condizione di sofferenza irrisolta causata dal distacco con una persona cara, della cui morte non si ha certezza. A questa si aggiungono ostacoli più concreti: senza il certificato di morte del padre, la madre e i figli spesso non possono ottenere un passaporto, un visto o richiedere asilo, né si possono avviare le procedure di adozione per gli orfani. Per questo Tareke Brhane li definisce “vittime due volte”.

I corpi dei migranti esclusi dal registro e i dati introvabili

In Italia esiste un registro dei cadaveri non identificati, gestito dal Commissario straordinario del governo per le persone scomparse, che contiene le informazioni relative ai corpi rinvenuti sul territorio nazionale utili alla loro identificazione. La versione aggiornata al 30 giugno 2014 ne contava 1327, di cui 387 recuperati “a seguito del fenomeno immigratorio”: sono le vittime dei naufragi del 3 e dell’11 ottobre 2013 a largo di Lampedusa, per le quali, come avverrà per la strage del 18 aprile 2015, il Commissario ha attivato un protocollo speciale per l’identificazione coinvolgendo il Laboratorio di antropologia e odontologia forense (Labanof) dell’Università degli studi di Milano e la Croce rossa. Lavoro che prosegue ancora oggi, senza finanziamenti pubblici, come ha raccontato a lavialibera la direttrice del Labanof Cristina Cattaneo.

Cattaneo: "Dare un nome ai migranti morti in mare"

Dopo il 2014, dal registro, che nel frattempo è stato digitalizzato, sono sparite le schede relative ai corpi dei migranti. Due anni fa, il viceprefetto Andrea Cantadori, allora vicario del Commissario, aveva assicurato al nostro giornale che queste erano state scorporate in un registro distinto, non consultabile pubblicamente. Rispondendo a una nostra richiesta di accesso agli atti, l’ufficio del Commissario ha affermato a giugno del 2024 di non possedere documenti che riportino e motivino questa decisione.

In Italia esiste un registro dei cadaveri non identificati, gestito dal Commissario straordinario del governo per le persone scomparse, che contiene le informazioni sui corpi rinvenuti sul territorio nazionale

Nella stessa risposta negava la trasmissione dei dati relativi ai corpi senza nome delle vittime del mare, dicendo che questi “sono in possesso delle Forze di polizia che alimentano la Banca dati del Ministero dell’Interno - Dipartimento della pubblica sicurezza - Ced (Centro elaborazione dati, ndr)” e che il registro generale era oggetto di una “attenta verifica e aggiornamento” “poiché si è potuto appurare che, spesso, mancano gli elementi essenziali che ne giustificano l’ostensibilità ai fini di un utile collegamento con un caso di persona denunciata come scomparsa: aspetto che risulta poi assolutamente preponderante per la parte del Registro connesso al fenomeno migratorio”.

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Seguendo l’indicazione del Commissario, abbiamo quindi chiesto al Dipartimento della pubblica sicurezza quante e quali fossero le schede relative ai cadaveri dei migranti in suo possesso. La risposta: “Le informazioni richieste non sono oggetto di rilevazione da parte dei sistemi informativi in uso a questa articolazione”. “Non esiste nessun registro, questi corpi non vengono proprio schedati – commenta Brhane –. La raccolta dei dati e dei campioni di dna dipende dalla buona volontà del singolo operatore. E le autorità possono permettersi di continuare ad agire così perché sanno che i familiari non hanno la forza di pretendere risposte, nessuno si indigna”.

“Non competente”: così il Commissario si tira indietro

Nel frattempo è stata completata la revisione del registro nazionale, che è tornato online nelle scorse settimane: nonostante le carenze rispetto ai cadaveri “connessi al fenomeno migratorio” fossero citate esplicitamente tra le motivazioni che hanno portato all’aggiornamento, i corpi dei morti in mare risultano ancora esclusi.

Contattato da lavialibera, l’ufficio del Commissario avanza ora una nuova motivazione, scrivendo nero su bianco per la prima volta di “non essere competente in materia migratoria”: “La legge n. 203/2012 fonda le competenze del Commissario sulla previa sussistenza di una denuncia di allontanamento di una persona da cui si presume possa derivare un potenziale pericolo per la vita o l’incolumità fisica della persona stessa. Pertanto solo in forza di un’avvenuta denuncia la normativa riconduce all’accezione di ‘scomparsa’, di stretta competenza del Commissario straordinario, l’altrimenti ben distinto concetto di ‘dispersione in evento di massa’”.

Se anche venissero raccolti i dati dei corpi di quanti muoiono cercando di attraversare il Mediterraneo, non verrebbero inseriti nel registro nazionale e il Commissario non se ne occuperebbe perché manca una denuncia di scomparsa

In altre parole, se anche venissero raccolti sistematicamente i dati dei corpi di quanti muoiono cercando di attraversare il Mediterraneo, il Commissario non se ne occuperebbe, salvo richiesta specifica come nel caso dei tre naufragi per cui sono stati arrivati protocolli speciali, perché manca una denuncia di scomparsa (praticamente impossibile per i migranti, i cui familiari nei paesi d’origine non hanno modo di rivolgersi alle autorità italiane e spesso non sono neanche a conoscenza degli spostamenti dei loro cari).

Dare un nome ai migranti morti è quasi impossibile

Al di là delle implicazioni sul piano pratico, la motivazione apportata per giustificare il disimpegno sul tema dei migranti senza nome è quantomeno fantasiosa: il decreto di istituzione della figura Commissario, che risale al 2007, ben prima prima della legge citata, gli attribuisce il compito di “assicurare il coordinamento operativo tra le amministrazioni dello Stato interessate a vario titolo al fenomeno delle persone scomparse”, senza discrimine di alcun tipo. Il testo del 2012 prevede semplicemente che le forze di polizia informino il Commissario delle denunce di scomparsa, ma non ne limita la competenza a questi casi.

Le relazioni svuotate

Il disimpegno del Commissario emerge anche dall’analisi delle sue relazioni semestrali. L’ultima a fornire dati sui corpi senza nome dei migranti risale al primo semestre del 2020: allora erano 1.676 i “cadaveri non identificati connessi al fenomeno migratorio”, 404 dei quali registrati dopo il 2015, a riprova del fatto che c’è stato un tempo in cui i dati delle vittime dei naufragi venivano raccolti e inseriti nel registro al di là delle tre grandi stragi per cui sono stati attivati protocolli speciali.

La graphic story. Un nome ai migranti morti in mare

Da allora, le relazioni successive non hanno più riportato il dato aggiornato, né è stato possibile ottenerlo tramite le richieste di accesso civico che lavialibera ha inviato al Commissario e al Dipartimento di pubblica sicurezza. L’ultimo documento pubblicato, relativo al periodo gennaio-agosto 2025, non fa neanche menzione della questione migratoria, a differenza dei precedenti, e si distingue per altre due anomalie: non viene presentato come una relazione semestrale, ma un “aggiornamento” a quella del 2024, e nonostante copra un periodo di otto mesi conta solo 20 pagine, a fronte delle 185 del primo semestre dell’anno scorso.

Il tavolo internazionale che l’Italia diserta

Quella dell’identificazione delle vittime delle migrazioni è una sfida comune a molti paesi, tra quelli di origine, di transito e di destinazione. Sul tema è attivo da tempo il Consiglio d’Europa, che a fine ottobre ha pubblicato un documento con raccomandazioni precise per gli Stati. Tra queste, si chiede ai governi di “nominare un delegato per la Rete dei punti focali nazionali per i migranti scomparsi (Network of national focal points for missing migrants)”.

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Si tratta di un tavolo internazionale, promosso dalla Croce rossa internazionale e incardinato nel processo di Rabat per il dialogo euro-africano su migrazione e sviluppo, con l’obiettivo di favorire la cooperazione e lo scambio di informazioni ed esperienze sulla gestione delle morti in mare. Avviata a inizio 2024, la rete conta oggi 25 Stati aderenti, tra cui Spagna, Grecia e Malta.

L’Italia, fanno sapere a lavialibera gli organizzatori, non ha mai nominato un inviato né partecipa informalmente, nonostante fosse invitata sin dall’inizio. Tra le altre raccomandazioni, il Consiglio d’Europa chiede agli Stati membri di “stabilire banche dati nazionali nelle quali i dati ante-mortem e post-mortem siano raccolti secondo i protocolli internazionali”, “garantire che gli esperti forensi abbiano le risorse finanziarie, umane e materiali per condurre il lavoro di identificazione” e “introdurre l’obbligo legale di identificare tutte le persone disperse senza discriminazione, a prescindere dalla presunta origine, nazionalità, condizione amministrativa o dalle circostanze della scomparsa”.

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Ad alcune delle raccomandazioni potrebbe dare risposta un disegno di legge depositato lo scorso giugno dal senatore di Italia Viva  Ivan Scalfarotto, che impegnerebbe le amministrazioni pubbliche a “attivare tutte le procedure necessarie per l’identificazione delle generalità dei corpi dei migranti deceduti durante la traversata del Mediterraneo a seguito di naufragi” e stanzierebbe a tale scopo 20 milioni di euro all’anno.

La fotoinchiesta: mgranti morti senza nome

La proposta non è ancora arrivata in Commissione, ma tutto sembra dire che il tema non sia al momento (e forse non lo è mai stato) tra le priorità della maggioranza di governo, come della politica tutta. “Eravamo considerati un esempio, ora nessuno vuole saperne – commenta Brhane –. Dopo più di dieci anni siamo ancora qui a chiederci: perché non possiamo raccogliere il dna e i dati che permettono alle famiglie di trovare finalmente la pace, come facciamo per i ‘nostri’ morti? È terribile: arrivano vivi come un numero, muoiono come un numero”.

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