2 giugno 2024
Il 14 maggio, a Pieve di Cadore (Belluno), Libera, assieme ad altre diciannove sigle nazionali e locali, ha lanciato “Open Olympics”. L’iniziativa, che spiegheremo a breve, è accompagnata da un sottotitolo, “campagna internazionale di monitoraggio civico”. Un’espressione che forse suona ancora inusuale a molti, ma che indica un ambito che è maturato molto nel quadro delle iniziative che l’associazione antimafia ha proposto nell’ultimo decennio.
Salute, azione amministrativa territoriale, spesa Covid e gestione delle emergenze, beni comuni (beni confiscati in primis, ma anche spiagge, ambiente, rifiuti, scuola), università, Piano nazionale di ripresa e resilienza e, infine, Olimpiadi, sono i settori in cui si è lavorato con i risultati che leggerete di seguito.
La trasparenza non deve essere il "mero adempimento burocratico della pubblicazione online delle informazioni e si produca un portale unico di dati aperti (cioè dati accessibili alla cittadinanza), multi-fonte e di facile comprensione"
C’è un passaggio, pronunciato il 14 maggio da don Luigi Ciotti proprio a Pieve, che condensa i tre pilastri dell’azione del monitoraggio civico fondato sul protagonismo delle comunità. “Sono loro, ossia chi vive i territori i veri protagonisti della richiesta di trasparenza, perché questa è casa loro. Ma i Giochi sono di tutti e chiunque ha il diritto di sapere che cosa stia accadendo. Vogliamo valutare adeguatamente l’impatto sulle nostre vite e sull’ambiente e assicurarci che nessuna di queste risorse si disperda in opacità o inefficienza, scoraggiando qualunque volontà di infiltrazione criminale, di stampo mafioso o corruttivo”. Soffermiamoci su alcuni passaggi.
Milano-Cortina 2026, olimpiadi poco trasparenti. Parte il monitoraggio civico
La “richiesta”, a cui il presidente di Libera fa riferimento, è la precondizione e il primo pilastro di ogni strategia di monitoraggio civico: chiedere trasparenza, che sia integrale e accessibile, al decisore pubblico (o del privato che utilizza risorse collettive, nell’interesse pubblico), affinché sia pienamente abilitato il “diritto di sapere” di chiunque.
Per restare alla neonata Open Olympics, si chiede che, di fronte all’utilizzo di oltre 5,72 miliardi di euro per la realizzazione delle opere e dei giochi connessi alle XXV Olimpiadi e Paralimpiadi Milano Cortina 2026, sia superata la logica del mero adempimento burocratico della pubblicazione online delle informazioni e si produca un portale unico di dati aperti (cioè dati accessibili alla cittadinanza), multi-fonte e di facile comprensione.
Non è un caso che tale richiesta sia pressoché identica a quella avanzata dal 2021 attorno al Piano nazionale di ripresa e resilienza. Con una differenza: nel caso del Pnrr, il portale di dati era una promessa prevista e messa nero su bianco all’interno del Piano stesso. Ma che, allo stato dell’arte, ancora non è stato realizzato. Ad oggi, sul Pnrr, esistono dati aperti rilasciati grazie all’azione di advocacy (un percorso civico volto a influenzare l'opinione pubblica e quindi i decisori, ndr) di una pluralità di sigle.
Trasparenza, prima inchiesta partecipata sul Pnrr
La richiesta del rispetto della trasparenza è presente fin dal principio in azioni di monitoraggio civico promosse dall’associazione antimafia. Se infatti la legge che introduce il sistema di prevenzione della corruzione è del 6 novembre 2012, contemporaneamente alla nascita della norma e in occasione delle elezioni nazionali del 2013 Libera cominciava a chiedere a tutte le candidate e i candidati, indipendentemente dal loro colore politico, di rendersi conoscibili in occasione dell’evento elettorale, anticipando la pubblicazione online di quei documenti strategici (cv, dichiarazione reddituale e patrimoniale, dichiarazione sui conflitti d’interesse potenziali) che la futura normativa di trasparenza (sarebbe arrivata a marzo 2013) avrebbe sancito come un obbligo per gli eletti. Era la campagna Riparte il futuro.
Quel “di più di trasparenza”, Libera, con l’iniziativa Illuminiamo la salute, lo avrebbe chiesto nel 2013 persino a enti non elettivi, ossia alle 237 (al tempo) Aziende sanitarie. La domanda loro rivolta era quella di adempiere, entro i tempi stabiliti da legge, a obblighi di trasparenza appena introdotti nel nostro ordinamento (come la redazione del Piano triennale anticorruzione, oggi chiamato Piano integrato di attività e organizzazione, in breve Piao, e la trasparenza degli organi decisionali delle aziende sanitarie). Per farsi un’idea dell’efficacia di tale azione civica, basti pensare che l’iniziativa ha permesso che il rispetto dei tempi da parte di tutte le aziende sanitarie d’Italia fosse superiore al 90 per cento, mentre per i soli grandi Comuni monitorati dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) nello stesso tempo quel dato si fermò a poco più del 60 per cento.
Con quest’azione si è ottenuto un ribaltamento del dato iniziale: dal 35 per cento di Comuni che non pubblicavano l’elenco (dei beni confiscati loro trasferiti) all’attuale 65%. Appena un inizio
Analogo risultato si sta costruendo anche sulla trasparenza di dati sui beni confiscati, altro tema fortemente attenzionato in chiave di monitoraggio civico tramite il report RimanDATI (nato nel 2021 e giunto alla terza edizione nel 2024).
Con quest’azione si è ottenuto un ribaltamento del dato iniziale: dal 35 per cento di Comuni che non pubblicavano l’elenco (dei beni confiscati loro trasferiti) all’attuale 65%. Appena un inizio, perché l’unico dato accettabile è, ovviamente, uno e uno soltanto: il 100 per cento.
L’advocacy per il rispetto di una trasparenza integrale è chiave poi anche per l’azione che Libera ha portato avanti anche in altri contesti, come quello dell’università (con la campagna “Esame da superare: trasparenza”, nel 2020-21) e della piena e corretta rendicontazione delle spese Covid (con la campagna “Pensa alla salute” nel 2021-22, a livello piemontese).
Se nel primo caso abbiamo indagato quanto gli atenei stessero rispondendo alla normativa di prevenzione della corruzione (e della conoscenza di tali pratiche da parte di studentesse e studenti), in ambito spese Covid abbiamo provato a farci restituire i dati sulle spese effettive, a fronte di un’informazione online che si limitava a quanto messo a base d’asta (e restituita ottimamente dall’associazione Openpolis in un portale dedicato). I risultati, in quest’ultimo caso, sono stati decisamente scarsi. Come a dire: sappiamo quanto budget è stato messo per la spesa Covid, ma non sappiamo che cosa abbiamo effettivamente comprato, se è rimasto un resto o se abbiamo speso più dell’immaginato. O almeno, come cittadine e cittadini, non ne abbiamo contezza.
"A oltre un decennio dalla legge italiana che ha introdotto il modello di trasparenza nel nostro ordinamento, non possiamo che esigere che essa evolva mettendo al centro la fruibilità e l’accessibilità"
Per chiudere sul primo pilastro, la richiesta di trasparenza: a oltre un decennio dalla legge italiana che ha introdotto il modello di trasparenza nel nostro ordinamento, non possiamo che esigere che essa evolva mettendo al centro la fruibilità e l’accessibilità. Non possiamo più accontentarci della frase, spesso ripetuta: “I dati sono online: andate a prenderveli e accontentatevi di come sono e di quel che c’è”. Anche perché il risultato sono centinaia di pdf scannerizzati male, con azioni di monitoraggio che si trasformano in un ping pong tra fonti di dato e portali incongruenti, con una discrezionalità degli enti a fare trasparenza che di fatto impedisce ogni comparabilità di dati (come soprattutto nel caso degli elenchi dei beni confiscati).
Veniamo al secondo pilastro, ossia quel “protagonismo” dei soggetti territoriali, citato da don Luigi Ciotti, che restituisce invece il senso di un’azione di empowerment (rafforzamento che dà potere, ndr) diffusa volta ad abilitare l’iniziativa degli stessi soggetti che vivono i luoghi più coinvolti. Non è un caso che, nel pomeriggio dello stesso giorno del lancio di Open Olympics, oltre 50 attiviste e attivisti del territorio, dopo essere state dotati degli strumenti dell’accesso civico, si siano cimentati in azioni come le “passeggiate di monitoraggio” (queste ultime sperimentate la prima volta nel 2018 a Isola Capo Rizzuto, in Calabria, e replicate sempre in Calabria in occasione dell’ultima Scuola Common 2023 tenutasi a Polistena, che ci ha permesso persino di entrare nel Porto di Gioia Tauro).
Questo perché crediamo che l’azione di monitoraggio non possa avvenire da un livello unico centrale, ma che acquisisca pienamente valore solo se praticata in forme diffuse. Da qui, il cosiddetto “approccio al monitoraggio civico fondato sul protagonismo delle comunità”. Per dirla internazionalmente: community-based monitoring approach.
Laboratori come quello di Pieve, il progetto Common - comunità monitoranti (ossia il settore di Libera che si occupa specificatamente di quest’ambito) ne ha svolti nel corso del tempo un centinaio da Nord a Sud e li porta avanti dal 2016, ossia da quando la normativa di prevenzione della corruzione ha messo espressamente in capo alla società civile le “forme diffuse di controllo” (a seguito della riforma cosiddetta Foia, freedom of information act) dell’operato dell’amministrazione pubblica. Specialmente durante il tempo della pandemia, in cui le forme digitali erano l’unica forma d’impegno possibile, l’azione di disseminazione e di empowerment è stata intensissima. Fatta la legge sul monitoraggio e sulla trasparenza, restavano infatti da fare le cittadine o i cittadini monitoranti. O meglio: le comunità monitoranti.
L’approccio adottato prova a essere quanto più “dal basso” possibile. Nel senso che non solo affida la metodologia del monitoraggio ai soggetti locali, ma prova a costruire l’azione in risposta a esigenze e problemi locali. In altre parole: si costruisce una strategia partendo da una “domanda di monitoraggio” per come vissuta dal territorio. Un esempio che ottimamente manifesta tale istanza è quanto si sta provando a fare in Basilicata dal 2024 con Open Royalties, dove si sta lavorando a mettere al centro la trasparenza delle concessioni derivanti dalle fonti fossili.
Quante e quali sono le risorse, come vengono impiegate, chi sono i destinatari e come questi le impiegano: l’obiettivo è aiutare chi vive le zone in cui sono presenti dei giacimenti petroliferi (aderenti a Libera ma non solo), con l’aiuto di compagni di viaggio competenti (nel caso, l’iniziativa giornalistica ReCommon), a generare forme di monitoraggio delle compensazioni al fisiologico danno ambientale che l’estrazione degli idrocarburi comporta. Pertanto, a seguito di un laboratorio condiviso, è stata prodotta una domanda di accesso civico univoca che oggi le realtà territoriali stanno presentando a tutti i Comuni gli enti beneficiari delle royalties dette.
Un altro esempio è quanto fatto in Piemonte nel 2021-22, in riferimento al problema della costruzione della Città e Parco della Salute, a Novara e Torino.
L’ambito sanitario è stato lungamente attenzionato anche a Siena, fin dal 2018, grazie a una stoica comunità monitorante che a più riprese ha resistito a tentativi di delegittimazione anche pubblica. Andando più indietro nel tempo, si potrebbero citare quella pluralità di iniziative civiche dell’arco temporale 2016-2020, dalla “Eqquindi” di Pisa alla “Estamn” di Palagiano (provincia di Taranto) in cui si è lavorato a supportare i territori nelle loro richiesta e necessità di trasparenza rispetto all’azione amministrativa locale.
Per rimanere alle Amministrazioni, particolare attenzione meritano poi le esperienze di monitoraggio civico nate attorno allo scioglimento comunale a seguito di infiltrazione di stampo mafioso. Due casi, geograficamente opposti ed entrambi del 2021, sono quelli di Saint-Pierre, in Valle d’Aosta, e di Foggia, in Puglia. Specie in riferimento alla città pugliese, la comunità monitorante locale è riuscita a dimostrare come, in quegli ambiti riportati come infiltrati nel decreto di scioglimento, la trasparenza si interrompesse in concomitanza con il fatto corruttivo. Evidenza, quindi, di come la trasparenza non sia affatto solamente burocrazia del dato.
Rispetto al valore strategico del mettere al centro del monitoraggio il protagonismo delle dimensioni collettive, aggiungiamo che può capitare anche che l’azione di una singola comunità monitorante finisca a divenire modello a livello nazionale, per tutte le altre realtà interessate al monitoraggio di quell’ambito. È quanto avvenuto ad esempio con il Pnrr e con la comunità monitorante di Bologna, che nel 2022 è riuscita a elaborare autonomamente una strategia di raccolta di dati attorno al numero dei progetti del Piano (in un momento in cui quel dato lo Stato neanche lo forniva) e che poi l’intera Libera ha utilizzato altrove per iniziative analoghe.
Gli esiti di quel lavoro sono stati poi presentati nella seconda edizione del report “Il Pnrr ai raggi X” del 2023, la quale è stata in grado di produrre un elenco civico di progetti di Pnrr da comparare agli elenchi che (solo pochi giorni prima del lancio del report) lo Stato ha finito col rilasciare dopo pressione civica e rivelando non poche criticità.
Medesima cosa è accaduta anche con le domande di accesso civico sui beni confiscati: un’azione sperimentale, condotta da Libera in Campania nel 2022, l’anno successivo è stata replicata su oltre 1127 Comuni a livello nazionale.
Pnrr, la trasparenza è ancora una chimera
"Le azioni civiche di monitoraggio sono spesso giudicate dal decisore come un’intromissione, un pregiudizio, una … rottura di scatole".
Infine, il terzo pilastro dell’azione di monitoraggio civico di Libera, contenuto nel riferimento a quei “Giochi di tutti” citati da don Luigi Ciotti a Pieve di Cadore. Al centro dell’azione di monitoraggio c’è la volontà di compartecipazione alla cura del bene comune, in tutte le sue forme.
A riguardo, occorre dire come le azioni civiche di monitoraggio siano spesso giudicate dal decisore come un’intromissione, un pregiudizio, una … rottura di scatole. Nulla di più lontano dal vero: il monitoraggio è la forma che abilita la società civile al fare la propria parte affinché la decisione pubblica resti coerente a sé stessa. Per riprendere la citazione di don Luigi Ciotti: affinché “nessuna di queste risorse si disperda in opacità o inefficienza, scoraggiando qualunque volontà di infiltrazione criminale, di stampo mafioso o corruttivo”.
Non è quindi un caso che finora l’azione di monitoraggio abbia puntato i suoi fari su ambiti strategici dell’interesse collettivo: salute, azione amministrativa territoriale, spesa Covid e gestione delle emergenze, beni comuni (beni confiscati in primis, ma anche spiagge, ambiente, rifiuti …), università, Pnrr e, in ultimo, Olimpiadi.
Quest’attenzione ci permette di dire un’altra cosa: le comunità monitoranti spesso valicano i confini di ciò che ci è più immediatamente vicino, in virtù dell’espressione di un interesse nella cura, rispetto a uno degli ambiti di bene comune. Per tale ragione, possiamo ad esempio parlare di un’unica grande comunità monitorante che in Italia sta provando a monitorare i beni confiscati. Ad esempio, può accadere che un attivista del Veneto possa partecipare al monitoraggio dei beni confiscati di una regione del Centro Italia.
Allo stesso modo, si sta lavorando a mettere in rete le comunità monitoranti italiane con movimenti che internazionalmente condividono tale approccio, grazie alle reti che globalmente Libera sta costruendo in Africa, Europa e America Latina. Il modello è quella “democrazia monitorante” che trova in teorici come il politologo australiano John Keane degli ottimi compagni di viaggio (lo stesso Keane è più volte intervenuto in eventi organizzati da Libera sul tema).
Infine va detto che, oltre alla citazione di don Luigi Ciotti, ce n’è anche un’altra che pure sintetizza ottimamente gli effetti del monitoraggio civico fondato sulle comunità per come descritto finora. Stavolta, però, a pronunciarla sono “gli altri”, i monitorati, e la ritroviamo nell’ordinanza custodia cautelare dell'indagine che sta sconvolgendo la politica ligure in questi giorni. Il fatto: tale Venanzio Maurici pubblica sui social un post che fa riferimento, con la metafora dell’“uvu” (l’uovo, in italiano), allo scambio di voti che lo vedrebbe coinvolto. In una conversazione telefonica, Italo Maurizio Testa si arrabbia riferendosi all’episodio, parlando con una terza persona della cosa, “perché c’è Libera che sta indagando”. Testa è preoccupato perché la leggerezza di Maurici potrebbe aver “richiamato l’attenzione dell’associazione antimafia Libera”, si legge nel commento degli inquirenti.
Ecco: proprio la prima storica campagna di monitoraggio civico di Libera, Riparte il futuro, nel periodo 2012-2015 aveva puntato un faro attorno al voto di scambio politico-mafioso, chiedendo una riforma di quell’articolo 416 ter del nostro codice penale che, ancora oggi, non trova pace (essendo poi stato modificato un innumerevole numero di volte). Per l’occasione, l’associazione riuscì a raccogliere oltre un milione di firme digitali: un’enormità di consenso pubblico che ha evidentemente preoccupato, a distanza di anni, chi quelle tipologie di scambi, più o meno mafiosi, li vuol praticare. Pensiamo a questo, quando ci domandiamo se il nostro lavoro serva davvero a qualcosa e produca un impatto concreto.
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