20 settembre 2024
"Il modello italiano è un buon esempio di come i proventi del crimine possono essere destinati alla riparazione del danno causato alle vittime e alla società”. Sono queste alcune delle parole con cui Papa Francesco ha voluto salutare i partecipanti al Convegno internazionale sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie che si è svolto il 19 e 20 settembre, in Vaticano, promosso da Libera e Accademia Pontificia delle Scienze Sociali. Un incontro pensato per condividere esperienze internazionali e multidisciplinari sul tema dell'uso sociale dei beni recuperati dalla criminalità organizzata, inteso come forma di giustizia riparativa dei danni causati dal crimine organizzato alle comunità.
Il testo integrale del messaggio di Papa Francesco
Oltre novanta tra rappresentati delle istituzioni pubbliche ed ecclesiastiche, magistrati e avvocati, accademici e rappresentanti della società civile organizzata, chiamati a discutere di giustizia e risoluzione dei conflitti, costituzionalismo globale e umanesimo penale, collaborazione internazionale, buone pratiche e progetti di riuso sociale dei beni confiscati da parte delle società civile. Con la presenza e l'introduzione ai lavori del cardinale Peter Turkson, di don Luigi Ciotti e del giudice federale di Buenos Aires Sebastian Casanello.
“A fronte della ferita che la criminalità organizzata transnazionale provoca alla società, non esiste altro rimedio che avere la volontà politica di affrontare un problema globale con una reazione globale, come sottolineava l’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, nella prefazione alla Convenzione di Palermo e ai suoi protocolli”, così è scritto nel saluto che il pontefice ha inviato ai partecipanti al convegno durante la mattina di apertura dei lavori.
Papa Francesco: "il recupero dei beni non dovrebbe limitarsi ad un obiettivo di politica sicuritaria, ma ispirarsi alla riparazione e ricostruzione del bene comune"
Papa Francesco ha indicato “la lotta contro a criminalità organizzata" come "una delle sfide più importanti per la comunità internazionale essendo, insieme al terrorismo, la più rilevante minaccia non militare alla sicurezza di ogni nazione e alla stabilità economica internazionale”, ragione per cui “gli Stati, attraverso le loro istituzioni, non solo devono indagare” e giudicarla, ma “anche collaborare tra loro per identificare i suoi beni e recuperarli”, e ciò per “rendere impossibile la prosecuzione” degli illeciti.
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Il saluto contiene un riferimento forte alla dimensione restitutiva dell'esperienza della confisca, “è necessario aver presente che il recupero dei beni non dovrebbe limitarsi ad un obiettivo di politica sicuritaria, ma ispirarsi alla riparazione e ricostruzione del bene comune". Insistendo sull’indispensabilità di “un approccio integrato di lotta contro la criminalità” e sul rafforzamento della cooperazione internazionale. Francesco ha incoraggiato i partecipanti alla due giorni “a condividere le loro esperienze e a riflettere, ma senza perdere di vista le vittime e la comunità”, “considerando il diritto e la giustizia come una pratica la cui missione è costruire un mondo migliore”.
Infine un riferimento diretto al "modello italiano" indicato come "un buon esempio di come i profitti criminali possano essere indirizzati verso la riparazione dei danni causati alle vittime e alla società; di come questi possano servire alla ricostruzione del bene comune e alla costruzione della pace”.
La dimensione trasformativa della giustizia, al di là degli aspetti punitivi, è stato il filo conduttore degli interventi sull’umanesimo penale, introdotto in apertura dal giudice Casanello. "Il tema della riparazione non è stato ancora sufficientemente sviluppato rispetto ai reati prodotti dalla criminalità organizzata. Ed è paradossale – ha detto Casanello – perché il crimine organizzato genera danni su larga scala; di solito a livello transnazionale".
Casanello: "Vogliamo dare una dimensione globale a questo tipo di politica e di risposta alla criminalità organizzata. Promuovere la sua istituzionalizzazione affinché diventi uno strumento internazionale che integri la Convenzione di Palermo"
Sintomatico di questo ritardo è lo squilibrio tra l’energia profusa sull’efficacia della punizione a fronte dell’impegno sul versante della riparazione. "La società italiana e i leader emergenti come Libera - Luigi e tutta la sua bella squadra - lo hanno capito bene. Hanno capito che non bastava perseguire e punire i mafiosi; bisognava rendere visibile il danno comunitario e ripararlo con la partecipazione attiva della società stessa. Tradurlo in una riparazione trasformativa".
Da questa premessa nasce la proposta di estendere l’esperienza su scala internazionale: "La nostra intenzione in questi giorni è quella di dare una dimensione globale a questo tipo di politica e di risposta alla criminalità organizzata. Promuovere la sua istituzionalizzazione affinché diventi uno strumento internazionale che integri la Convenzione di Palermo".
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A conclusione dei lavori, Tatiana Giannone, responsabile del settore beni confiscati di Libera, ha sintetizzato gli impegni dell'associazione sui temi discussi durante il convegno. "Il primo punto è che la confisca è la riparazione dei danni che ha subito la comunità”, perché “la comunità è una vittima diretta e vera del crimine organizzato che ha tolto ai nostri territori pezzi di sviluppo e possibilità” e quindi “dobbiamo immaginare il riuso sociale dei beni confiscati come una restituzione vera alla comunità e alle vittime del crimine”.
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Un riferimento poi alla direttiva dell'Unione europea in materia di crimine organizzato e confisca, approvata come ultimo atto del parlamento uscente, giudicata importante poiché "parla di armonizzazione, allarga i tipi di confisca che si possono applicare e allarga la definizione di criminalità organizzata". Sul punto “l’impegno è che questa direttiva possa proseguire il suo cammino, negli Stati membri con l’impegno di tutti i governi a trasformarlo in un quadro normativo nazionale”. Un impegno assunto anche nei confronti della rete europea e internazionale rappresentata dai partecipanti all'iniziativa.
Giannone: “Le risorse finanziarie per i progetti e le esperienze di riuso devono avere la priorità, e in questo la politica deve essere al nostro fianco”
“Le indagini patrimoniali e penali devono andare nella direzione di indagare il mercato lecito che si è fatto infiltrare dalle mafie, tante inchieste ci raccontano come le mafie sono arrivate a controllare pezzi del mercato lecito rendendo ancora una volta la comunità vittima della loro presenza – ha continuato Giannone –. Quella deve essere la direzione in cui dobbiamo andare: qui in Italia non possiamo accettare che vengano fatti passi indietro, non possiamo accettare che il patrimonio pubblico venga privatizzato perché il patrimonio pubblico ci appartiene”. Ma questo significa anche trovare fondi perché i progetti possano crescere e diventare sostenibili. “Le risorse finanziarie per i progetti e le esperienze di riuso devono avere la priorità, le esperienze di riuso devono avere le gambe per essere sostenibili e in questo la politica deve essere al nostro fianco”
Infine la proposta di costituzione anche negli altri Paesi della rete delle agenzie per la gestione dei beni confiscati, analogamente a quanto avvenuto in Italia, perché "ci sia un rapporto tra il pubblico e il privato, perché le istituzioni e la società civile si possano parlare". Cruciale quindi il riconoscimento che ciò che si è costruito sui beni confiscati , nel nostro Paese e in altre parti del mondo, è "un pezzo di economia civile e di economia sociale", e che "la confisca è lo strumento per combattere la criminalità organizzata, l’antagonista delle mafie dei nostri territori".
Ciotti: "Questa normalizzazione è il frutto velenoso di chi non vuole vedere che il male mafioso si alimenta dei vuoti di democrazia, sociali, culturali e ambientali".
Don Luigi Ciotti ha chiuso i lavori facendo appello perché ci si accorga che "il problema criminale e mafioso è in crescita. L’Italia si è fermata alle stragi di Capaci e via d’Amelio, quando ci fu una grande risposta nel paese e un grande coinvolgimento, ma le emozioni passano se non diventano dei sentimenti profondi".
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La responsabilità di questa indifferenza risiede nella "normalizzazione" del problema, ma anche da alcuni "vuoti". "Nonostante l’impegno e le lotte che sono state fatte. Nonostante il lavoro positivo dei magistrati, delle forze di polizia, delle istituzioni. Ci sono vuoti che ci interrogano – ha continuato Ciotti –. La logica mafiosa non è solo quella delle organizzazioni criminali, ma anche quella del potere quando si nasconde dietro manipolazioni e menzogne. E la malattia del potere ambiguo, opaco, inaffidabile, non è mai stata veramente debellata". E ancora: "Questa normalizzazione è il frutto velenoso di chi non vuole vedere che il male mafioso si alimenta dei vuoti di democrazia, sociali, culturali e ambientali".
Ciotti: "non basta dire no alla droga, preoccupiamoci di capire insieme ai giovani a che cosa vogliamo dire sì"
Ciotti ha fatto l'esempio della "guerra alla droga", che in 50 anni non è affatto riuscita a debellare il narcotraffico né il problema delle dipendenze. Anzi. "La lotta alla droga in Europa si è trasformata nel contrasto ai consumatori e alle persone dipendenti, si è trasformata colpendo l’anello più fragile, con la condanna penale e il carcere. A fronte di tutto questo il consumo di droga è fortemente aumentato". Da qui l'appello alla necessità di capire "che non basta dire no alla droga: preoccupiamoci di capire insieme ai giovani a che cosa vogliamo dire sì. La cosa più importante è costruire prospettive di senso".
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Infine un riferimento ai drammi legati ai respingimenti dei migranti. "Ha ragione Papa Francesco quando dice che Dio è con i migranti e che respingerli è un peccato grave. Eppure abbiamo ancora morti, nel silenzio di molte istituzioni. L’emigrazione è una sfida cruciale del nostro tempo e la mancanza di sensibilità per la sofferenza delle altre persone preparano esiti bui". Nelle debolezze e negli errori della politica si aprono varchi anche per la criminalità organizzata, "chi ha altri scopi e altri interessi trova qui, dentro questi vuoti, dentro questi meccanismi e in queste scelte il terreno fertile per creare la propria forza criminale. La povertà materiale e la povertà esistenziale sono un effetto della povertà politica. La politica che permette tutto questo non è politica, perché dovrebbe fare le politiche, che sono nate per rispondere alle esigenze di tutti e invece no".
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Rispetto a tutto questo "c’è una parola che potremmo dirci, per concludere, e che deve mordere dentro: l’urgenza. Serve uno scatto veramente in più da parte di tutti".
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