24 novembre 2023
Un forte “no” alla vendita del patrimonio immobiliare sottratto a mafiosi e corrotti; una difesa delle norme sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie e un impegno a migliorare il sistema, offrendo anche una collaborazione alle amministrazioni locali. Questa è in estrema sintesi il sunto del lavoro, durato quasi un anno, portato avanti da Libera insieme a centinaia di realtà che gestiscono beni confiscati in tutta Italia. Venerdì 24 novembre a Roma, nella sua nuova sede, la rete di associazioni fondata da Luigi Ciotti ha presentato il documento Raccontiamo il bene, 38 pagine di impegni e richieste alla politica.
Guida ai beni confiscati alle mafie
“Nonostante l'indiscusso valore di tutto questo, divenuto esempio all'estero e osservato con attenzione come spunto dal legislatore europeo, oggi cogliamo preoccupanti segnali che vanno in una direzione opposta"
Il percorso è cominciato a gennaio. “Abbiamo diffuso un questionario tra quelle realtà che gestiscono beni confiscati perché manca una mappatura a livello nazionale di queste esperienze e manca la capacità di far conoscere il proprio lavoro – spiega Tatiana Giannone, referente nazionale del settore Beni confiscati dell’associazione antimafia –. Abbiamo voluto mettere insieme queste esperienze, recuperando la nostra storia di promotori della legge sul riutilizzo sociale”. Questo lavoro è arrivato in un momento in cui la normativa antimafia su sequestri e confische è stata svilita e criticata, dando adito a proposte di legge per smantellare quanto fatto in anni di lotte.
L'utilizzo sociale dei beni confiscati, una storia di 25 anni
Al confronto hanno partecipato centinaia di soggetti gestori, alcuni dei quali hanno anche sottoscritto il documento finale (le adesioni restano aperte sul sito internet di Libera). L’obiettivo adesso sarà ottenere un confronto pubblico e politico con il ministero dell’Interno e altri istituzioni e organizzazioni come l’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) e con la Conferenza della regioni.
Il documento è diviso in tre sezioni. La prima raccoglie gli impegni delle realtà, la società civile organizzata e i gestori, che hanno partecipato all’indagine. La seconda riguarda le richieste alla politica e alle istituzioni nazionali e la terza, invece, rivolta al territorio, con indirizzi rivolti alle regioni, alle amministrazioni comunali e più in generale, agli enti locali di prossimità, come province e città metropolitane.
“Nonostante l'indiscusso valore di tutto questo, divenuto esempio all'estero (in Europa, in Albania e anche in Argentina, per citare alcuni casi, ndr) e osservato con attenzione come spunto dal legislatore europeo, oggi cogliamo preoccupanti segnali che vanno in una direzione opposta – si legge nel documento –. Sono segnali di un cambiamento di paradigma che, da più parti, mette in discussione queste conquiste anche attraverso una narrazione tossica e distorta, che, a nostro avviso, non coglie la realtà delle cose. Libera e le realtà aderenti al documento ricordano anche “la decisione del Governo di cancellare con un tratto di penna i 300 milioni di euro previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per la rifunzionalizzazione e la valorizzazione dei beni confiscati”, considerata “l'ennesima evidente dimostrazione di tutto questo”.
La parte più ricca di proposte pratiche è quella centrale, rivolta alla politica. “Sentiamo il pericolo di un lento ma inesorabile tentativo di cambio di paradigma, che sembra mettere in discussione non solo il meccanismo del riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati ma, per molti versi, l'intero sistema delle misure di prevenzione introdotto dalla legge Rognoni - La Torre”, la norma introdotta nel 1982 che prevede la sottrazione dei patrimoni ai mafiosi. Contro il sistema delle “misure di prevenzione” c’è un “attacco costante” che passa “anche attraverso la presentazione di proposte di legge di riforma che metterebbe a rischio l'intero sistema di lotta alla criminalità organizzata”. “Non possiamo accettare che criticità e problemi, che pure esistono e che nessuno disconosce, diventino il grimaldello per scardinare l'intero sistema”. Anzi, il codice antimafia deve trovare una vera applicazione e deve diventare “effettiva l'estensione ai corrotti delle norme su sequestri e confische”.
L'antimafia nel nome di Pio La Torre
Inoltre il documento denuncia “la grande occasione persa dei fondi Pnrr, che avrebbero consentito la concreta rifunzionalizzazione di almeno 254 beni confiscati in 166 comuni delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia”. Per questo i firmatari chiedono “che il più rapidamente possibile il governo emani un provvedimento per confermare i 300 milioni da utilizzare per valorizzare i beni confiscati”.
Alcuni comuni avevano avviato dei progetti che, una volta finiti in una graduatoria, avrebbero dovuto ricevere dei finanziamenti. Tuttavia il 27 luglio scorso il ministro Raffaele Fitto ha proposto una revisione del Pnrr togliendo fondi per 15,89 miliardi di euro, tra i quali c'erano tutte le erogazioni previste per la "valorizzazione dei beni confiscati alle mafie". Da quel momento, per le amministrazioni impegnate in queste opere regna l'incertezza e alcune hanno dovuto anticipare le risorse senza sapere se poi verranno restituite.
Il primo decreto Sicurezza, quello firmato da Matteo Salvini del 2018, estendeva la vendita dei beni confiscati “a tutti i privati, al miglior offerente e all'asta pubblica, facendo venire meno la finalità risarcitoria”
Bocciato “l’approccio liquidatorio”, cioè la vendita degli immobili confiscati, da ritenere come una “extrema ratio e non come una scorciatoia per evitare le criticità”. Il primo decreto Sicurezza, quello firmato da Matteo Salvini del 2018, estendeva la vendita dei beni confiscati “a tutti i privati, al miglior offerente e all'asta pubblica, facendo venire meno la finalità risarcitoria intrinseca nel procedimento di confisca e destinazione”. Ci sono più rischi, denuncia l’indagine, come la svendita a prezzi svalutati o il loro acquisto da parte di componenti dell’area grigia per riciclare il denaro sporco. E c'è anche un’urgenza da affrontare in fretta, “l'imminente vendita di centinaia di immobili confiscati per pagare i creditori”: “Occorre un intervento, soprattutto legislativo, sia per individuare le limitate risorse finanziarie necessarie (anche utilizzando il Fondo unico giustizia), sia per incentivare forme di transazione con gli istituti di credito immaginando anche specifiche agevolazioni”, suggeriscono gli autori dello studio.
Proprio il ricorso al Fondo unico giustizia, dove confluiscono i soldi tolti ai criminali, è una delle tante proposte, tra le quali emerge la necessità di fornire un adeguato supporto agli uffici giudiziari che si occupano di sequestri e confische e all’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati.
L'ultima parte di Raccontiamo il bene è rivolta ai territori. Alla Conferenza delle regioni, ad esempio, si chiede di adottare una bozza di normativa regionale da condividere coi governi territoriali per avere più uniformità nelle norme delle regioni, in linea con le leggi nazionali ed europee. Inoltre alle regioni si chiede un maggior impegno nel prendere in gestione gli immobili sottratti, soprattutto quelli più complessi. Uno “scatto di sensibilità” viene anche chiesto ai comuni, che andrebbero sostenuti e accompagnati nella gestione dal mondo del sociale e dai Nuclei di supporto delle prefetture, e formati con iniziative promosse da Anci e Upi.
Beni confiscati alle mafie: aumentano i Comuni non trasparenti
Raccontare il bene confiscato non è un esercizio fine a se stesso, ma serve a tenere alta l’attenzione delle istituzioni e della politica, per poi costruire un dialogo e un’alleanza con le amministrazioni, a cui proporre modelli per la gestione, momenti di formazione e anche di animazione nei territori, e coinvolgere anche altri attori sociali e pubblici, come gli ordini professionali, le organizzazioni imprenditoriali e sindacali, gli enti di finanza etica e solidale. Fare di questi spazi luoghi di conoscenza e di educazione alla cittadinanza e alla democrazia, ma anche all’economia, all’ambiente, alla storia, insieme alle scuole e alle agenzie educative del territorio è uno dei traguardi prefissato.
Uno degli strumenti suggeriti è la preparazione di un bilancio sociale “che consenta alle istituzioni e all'opinione pubblica di conoscere in maniera adeguata qual è il valore delle esperienze di riutilizzo sociale”, un valore non solo sociale, ma ambientale ed economico. Il bene sociale quindi, non solo come una “cosa buona e giusta”, ma anche come cosa che conviene “perché è in grado di generare economie, sviluppo, lavoro, dignità, percorsi di welfare e di innovazione sociale, riqualificazione ambientale di spazi e territori”. Per questo i promotori si pongono come obiettivi sia quello di “accompagnare le esperienze di workers by out (cioè le imprese "rilevate" dai suoi dipendenti, ndr), di imprese sociali e di aziende confiscate verso la redazione di un bilancio del loro impatto sociale", sia quello di preparare un bilancio sociale nazionale raccogliendo le esperienze di riutilizzo su tutto il territorio.
Alloggi per studenti nelle case confiscate
In Italia 991 soggetti sono impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, ottenuti in concessione dagli enti locali, distribuiti tra 18 regioni e in più di 359 comuni italiani (227 al nord, 68 al centro, 696 al sud e nelle isole). La regione con il maggior numero di realtà sociali impegnate su questo fronte è la Sicilia con 267 soggetti gestori, seguita da Calabria con 148, Lombardia con 141 e Campania con 138 soggetti.
Secondo il censimento realizzato attraverso l'azione territoriale della rete di Libera, esclusi gli immobili riutilizzati per finalità istituzionali dalle amministrazioni statali e locali, abbiamo:
Ancora molte amministrazioni comunali, però, non pubblicano gli elenchi dei beni confiscati presenti sul loro territorio, ben 681 sul totale di 1073 comuni.
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