2007, San Luca. Un gruppo di donne aspettano in chiesa le bare di Francesco Giorgi, Sebastiano Strangio e Marco Marmo, tre delle vittime della strage di Duisburg (P. Cito/Ansa)
2007, San Luca. Un gruppo di donne aspettano in chiesa le bare di
Francesco Giorgi, Sebastiano Strangio e Marco Marmo, tre delle
vittime della strage di Duisburg (P. Cito/Ansa)

I business senza confini della 'ndrangheta

Gli affari della 'ndrangheta sono legati soprattutto al narcotraffico, con il denaro sporco che viene poi impiegato in attività economiche in Italia e all'estero

Francesco Donnici

Francesco DonniciGiornalista

12 settembre 2023

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Vuoi fare affari con la droga? "Prima devi avere un business vero". Verso la fine del 2019, uno degli oltre cento indagati di Eureka – ad oggi la più grande operazione contro le cosche della Locride – racconta com’è nata la decisione di avviare un’attività di copertura in Belgio. Su una parete del locale ha appeso una gigantografia col panorama di San Luca, incastonato alle falde dell’Aspromonte. La stessa foto è utilizzata per i canali social, quasi fosse un brand che pone l’accento sulle origini di chi, a suo dire, discende dalla "'mamma' della ’ndrangheta". Non a caso, quando la Commissione antimafia della XV legislatura scrisse di un "salto di qualità" a partire dagli anni Ottanta, si soffermò su alcuni "fattori strategici". Tra questi, la "capillare diffusione dei clan in tutti i continenti" e la "spendibilità di una sorta di “logo”, un marchio di “qualità” e affidabilità indiscusso presso i partner e le organizzazioni allocate nella filiera del narcotraffico".

Le origini

Sequestri di persona e contrabbando di sigarette sono le attività soppiantate dal traffico internazionale di droga, il core business della 'ndrangheta

Dagli anni Settanta i paesi a ridosso dell’altopiano aspromontano sono noti alle cronache come teatro occulto di storici sequestri di persona. Lì avrebbe trascorso i suoi 743 giorni di prigionia Cesare Casella, rapito a Pavia nel 1988. Alcuni anziani di Bovalino, dal canto loro, continuano a raccontare del quartiere Paul Getty, secondo la leggenda costruito con una parte dei quasi due miliardi di lire pagati per il riscatto del nipote del ricco petroliere americano, rapito a Roma 50 anni fa.

La Commissione parlamentare in una relazione del 1998 spiegò come quella "cifra enorme" fosse stata investita in parte per finanziare la nascita degli affari imprenditoriali della ’ndrangheta, interessata ai grandi appalti pubblici e, nella parte più rilevante, "dapprima nel contrabbando di sigarette estere e successivamente nell’acquisto di droga" per avviare quello che diventerà poi il core business dell’associazione. In poco tempo, infatti, si compirà il passaggio epocale della "terziarizzazione della ’ndrangheta", che da utente finale e marginale della filiera si collocherà sulle rotte della cocaina stringendo accordi diretti con i cartelli dei produttori.

Per comprendere il grado di espansione del fenomeno e la mole di affari derivante, si può prendere come esempio l’operazione coordinata dalla Dda di Palermo il 19 luglio 2023 che ha portato al sequestro di 5,3 tonnellate di cocaina "destinate a rifornire il mercato nazionale", che avrebbero fruttato alle cosche circa 850 milioni di euro. La sostanza viaggiava su un peschereccio partito da Bagnara Calabra, poco distante da Reggio Calabria, con a bordo un italiano e quattro persone di nazionalità straniera. Negli atti dell’indagine gli investigatori riportano anche di un’utenza telefonica criptata, localizzata proprio sul territorio di San Luca.

Il reportage: San Luca cerca un'immagine diversa

L’operazione Eureka

La genesi dell’attività investigativa ruota intorno a due indagini su presunti appartenenti ad alcune tra le più note famiglie di San Luca, Bovalino, Africo e Bianco

"Sento ancora parlare di ’ndrangheta agricola e questo, sinceramente, mi preoccupa moltissimo". La frase è stata pronunciata dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, a margine della conferenza stampa successiva al maxi blitz dello scorso 3 maggio. Dei 108 provvedimenti cautelari eseguiti in diverse zone d’Europa, molti degli indagati sono originari o ancora residenti nella Locride. Da qui gli inquirenti di Reggio Calabria, Genova e Milano, coordinati dalla Dna, in collaborazione con gruppi europei interforze, sono risaliti a una struttura ramificata oltre i confini continentali e capace, nell’arco temporale che va da maggio 2020 a gennaio 2022 (biennio caratterizzato dalla pandemia), di movimentare circa sei tonnellate di cocaina.

La genesi dell’attività investigativa ruota intorno a due indagini su presunti appartenenti ad alcune tra le più note famiglie di San Luca, Bovalino, Africo e Bianco. Nel 2017 l’attenzione si concentra su Antonio Callipari, latitante fino a novembre 2018, da quando il suo nome era finito all’interno dell’ordinanza di custodia cautelare dell’inchiesta Dedalo. Secondo la Dda di Milano, sarebbe tra i "capi-promotori" di un’associazione collegata ai sanluchesi Nirta “Versu”, ramo staccato da quello dei Nirta Scalzone (noti come “La Maggiore”) e legati alla famiglia Strangio “Janchi”.

L’ulteriore filone d’indagine parte a giugno 2019. Il quadro indiziario si arricchisce grazie all’attività svolta da un agente belga infiltratosi nell’area di Limburgo, per conto della procura federale di Bruxelles, in un gruppo di calabresi (leggi l'articolo). Appena un anno dopo, in quella stessa area, scatta l’operazione Costa, che porta all’arresto di 41 persone. Tra queste anche Lucio Aquino, accusato di essere coinvolto nell’importazione di circa sette tonnellate di cocaina sequestrate a ottobre 2019 nel porto di Anversa. Il trafficante italo-belga era in contatto con esponenti del clan del Golfo (Los Urabeños), un’organizzazione paramilitare colombiana "raggruppante elementi di altre organizzazioni narco-terroristiche che, dopo la caduta degli storici cartelli di Medellin e Cali, hanno assunto il controllo del mercato della cocaina in Colombia".

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Tre maxi associazioni

La sintesi di queste attività permette di risalire a "tre maxi-associazioni dedite al narcotraffico internazionale ". Si racconta di come i Nirta soprannominati “Versu” fossero riusciti a espandersi in Brasile grazie al narco-broker Vincenzo Pasquino, arrestato a maggio 2021 insieme al “Tamunga” Rocco Morabito, ai vertici del clan di Africo, con il quale condivideva la latitanza dopo essere sfuggito alla condanna del tribunale di Torino nel processo Cerbero, focalizzato sull’esistenza di una locale – ossia una struttura territoriale della ’ndrangheta – tra San Giusto Canavese e Volpiano.

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Dopo l’arresto a San Paolo del Brasile dei narcos italiani Patrick e Nicola Assisi, Pasquino avrebbe avuto la possibilità di allargare la sua attività, fino a diventare l’intermediario dei traffici con Antonio Romeo detto “Cetto”, "importante fornitore di cocaina da anni operante in Brasile". La rete riconducibile ai Nirta-Giampaolo-Romeo, nelle parole del gip di Reggio Calabria, poteva "giovarsi di diretti contatti coi fornitori in Sud America" di modo da poter portare in Italia e in Europa "enormi quantitativi di stupefacenti a prezzi molto competitivi", circa 7mila dollari al chilo, per rivenderli in poco tempo in Calabria a oltre 30mila euro.

L’organizzazione contava su una "squadra di operatori portuali corrotti, addetti al recupero e alla fuoriuscita della cocaina" da Gioia Tauro. Tra maggio 2020 e gennaio 2022 vengono movimentate circa quattro tonnellate di stupefacente tra Italia, Olanda e Belgio, grazie all’uso di mezzi pesanti o "mediante l’ingaggio di organizzazioni criminali cinesi attive tra Roma, Milano e Napoli, con basi anche a Dubai, specializzate nell’esecuzione di operazioni di 'pick-up money'". Il guadagno si aggirava intorno ai 23 milioni di euro.

Principi e metodi della ’ndrangheta

L’altro gruppo, quello dei Mammoliti “Fischiante” di Bovalino, avrebbe operato attraverso "basi logistiche (e non vere e proprie articolazioni della cosca, ndr) dislocate in varie parti d’Italia". Il loro coinvolgimento nel business della droga viene documentato fin dal 2015 con l’operazione Kaleos. Qui arrivano le condanne degli allora reggenti Francesco e Domenico Mammoliti con passaggio delle redini al fratello Giuseppe, che ha "tenuto i contatti con i principali canali di approvvigionamento del gruppo" e al nipote (minorenne all’epoca dei fatti) Sebastiano.

Secondo la procura di Reggio Calabria, il gruppo ha osservato "principi e metodi della ’ndrangheta" come avvenuto il 17 luglio 2020 in occasione dell’omicidio di Fabio Catapano, accusato di aver sottratto 110 chili di cocaina da un deposito di Roma. A ucciderlo, per "salvare l’onore" tutelandosi agli occhi del clan, sarebbe stato Giovanni Nesci, che tenterà di depistare gli inquirenti raccontando di un movente passionale.

La 'ndrangheta in Germania

"Conosci Duisburg? Sette persone della mia famiglia sono state ammazzate per motivi stupidi, per uno scherzo di carnevale di 20 anni fa"

All’estero “la mamma” è una questione di reputazione. "Vai su Youtube così vedi chi sono", si ascolta dalla voce di uno degli indagati. "Conosci Duisburg? Sette persone della mia famiglia sono state ammazzate per motivi stupidi, per uno scherzo di carnevale di 20 anni fa".

Il 10 febbraio 1991 alcuni ragazzi imparentati con i Nirta-Strangio avevano lanciato delle uova all’interno del circolo Arci di corso Alvaro, gestito dai Pelle-Vottari. A ricostruire l’episodio durante il processo Fehida era stato il collaboratore di giustizia Rocco Mammoliti: "Scoppiò una rissa, poi quando i ragazzi stavano per rientrare in auto, Antonio Vottari sparò", uccidendo Francesco Strangio e Domenico Nirta.

Gli verrà intimato di lasciare San Luca, ma avendo ignorato il diktat del clan rivale finirà ucciso ai margini della statale 106, il 25 luglio 1992, per volere di Antonio Strangio. Il fatto provoca una carneficina per le vie del paese. L’anno successivo si arriva a una tregua apparente, che dura fino al 2005. Il boss Francesco Pelle detto “Ciccio Pakistan”, nel giorno della nascita del figlio, subisce un attentato nella sua abitazione di Africo e la sua vendetta si consuma con la cosiddetta strage di Natale del 2006. L’obiettivo del commando è Giovanni Luca Nirta, ma a morire è la moglie, Maria Strangio.

"Pizzerie e ristoranti in Germania costituiscono un modo sicuro e facile per riciclare i proventi del traffico della droga, sia nella fase dell’acquisto (spesso con denaro contante, ndr) sia nel corso della gestione […] diretta a produrre un basso fatturato lecito, così da immettere nei bilanci 'soldi sporchi'"Giorgio Basile - Collaboratore di giustizia

Sarà proprio questo episodio a innescare la mattanza avvenuta il 15 agosto 2007 appena fuori dal ristorante Da Bruno, a Duisburg, dove si erano appena conclusi i festeggiamenti per i 18 anni e, secondo le ricostruzioni, la possibile affiliazione di Tommaso Venturi, una delle sei vittime. Di quello spargimento di sangue “beneficiano” anche le famiglie che non hanno partecipato alla faida. I Giorgi “Suppera” avrebbero assunto parte della gestione degli affari degli Strangio “Fracascia” nella casa-madre, mentre un altro ramo del clan, i “Boviciani”, si è radicato nella Germania del Sud – come ipotizza l’inchiesta Platinum della Dia – avviando una propria locale nella regione del Baden-Württemberg. A febbraio 2023 il tribunale di Konstanz ha pronunciato una sentenza storica, condannando uno dei presunti sodali, Salvatore Giorgi, "per aver favorito la ’ndrangheta".

"So che a Duisburg la gran parte delle pizzerie erano controllate dalle famiglie di San Luca". Il 23 febbraio 2021 il collaboratore di giustizia Giorgio Basile spiega agli inquirenti i meccanismi di reimpiego del denaro sporco. "Pizzerie e ristoranti in Germania – dice – costituiscono un modo sicuro e facile per riciclare i proventi del traffico della droga, sia nella fase dell’acquisto (spesso con denaro contante, ndr) sia nel corso della gestione […] diretta a produrre un basso fatturato lecito, così da immettere nei bilanci 'soldi sporchi'".

Dopo Eureka, in Germania non bisogna fare passi indietro nella lotta antimafia

Il follow the money degli investigatori porta in Francia, Belgio, Portogallo e in Germania, che, a detta di Stefano Nirta, grazie a controlli meno stringenti e a un regime fiscale agevolato "è la migliore di tutte". Il fratello di Giovanni Luca Nirta e cognato Sebastiano Romeo, "detentore dello scettro del comando " nonostante fosse in carcere, è ritenuto il "vertice dell’associazione". Aveva scelto di subentrare in una società riconducibile ai Giampaolo “Russello”, investendo nella cittadina tedesca di Saarlouis per gestire in forma occulta la gelateria Bellitalia. Così era stato in grado di fornire lavoro ad alcuni parenti, arrivando a godere di "grande autorevolezza all’interno del gruppo". Sua, ad esempio, l’iniziativa di assoldare un killer per uccidere Pasquino qualora avesse deciso di iniziare una collaborazione con la giustizia. Girava voce che il broker avesse scritto una lettera in cui si diceva impaurito dal carcere brasiliano.

Vip, imprenditori e massoni

La mappa tracciata dalle procure porta a un sequestro complessivo di 25 milioni di euro tra beni mobili e immobili. In Portogallo aveva investito il nipote del boss Antonio Pelle “Gambazza”, Domenico Giorgi (vedi articolo), soprannominato “Berlusconi”, capace di avviare un’attività frequentata da calciatori, personalità dello spettacolo e finanche dal presidente della Repubblica portoghese Rebelo de Sousa.

A Mentone, nel cuore della Costa Azzurra, c’è invece il ristorante La Voglia, secondo le autorità francesi gestito dalla società Aurora, il cui socio occulto – e amministratore dall’aprile del 2022 dopo aver ricevuto la generosa donazione delle quote di maggioranza – è Vincenzo Giorgi. A lui gli inquirenti contestano quattro importazioni per centinaia di chili di cocaina. Al netto di questi affari, il sanluchese, dal 2000 al 2021, risulta nullatenente.

La società è riconducibile ad altre due figure: Michele Di Piano e Giuseppe Scidone. Il racconto della polizia francese su quest’ultimo è ripreso nell’indagine Geenna, da cui è scaturito un processo che attesta il radicamento di alcuni gruppi organizzati originari di San Luca in Valle d’Aosta. Scidone risulterebbe una sorta di tramite tra il mondo della massoneria e il sottomondo mafioso. In effetti, dopo aver tentato la costituzione di una nuova obbedienza cui ha fatto capo la loggia di Aosta, in Costa Azzurra avrebbe creato un circolo "che ha quale scopo ufficiale l’assistenza agli italiani in Francia ma, in realtà, dovrebbe essere la copertura di una loggia massonica di italiani oltralpe".

Massomafie. Cosa c'è di vero?

Trame complesse, ricostruite in questa fase preliminare grazie alla cooperazione giudiziaria internazionale che, secondo il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, rappresenta "l’unico mezzo per fronteggiare un crimine che non conosce più frontiere".

Da lavialibera n° 22, Altro che locale

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